«Noi non riconosciamo agli altri quanto riconosciamo a noi: se avessero ammazzato 60mila italiani o tedeschi la reazione sarebbe stata diversa», dice la scrittrice e analista Paola Caridi, autrice di "Sudari. Elegia per Gaza" (Feltrinelli) denunciando il naufragio morale dell’Occidente che nega il genocidio palestinese

Numeri, numeri. Numeri che congelano la nostra empatia. E che nulla dicono di biografie, amori, desideri , lavoro e fame, sogni e vita reclusa in una striscia di terra ignota al mondo. In questo genocidio nostro, di cui i sudari sono simbolo per difetto, i palestinesi non hanno neanche il diritto a conoscere il numero esatto dei defunti, né soprattutto i loro nomi», scrive Paola Caridi nel libro Sudari, elegia per Gaza (Feltrinelli). Esperta di storia politica contemporanea del mondo arabo, ha scritto libri importanti come Hamas, dalla resistenza al regime e Il gelso di Gerusalemme ed è stata, in questi due anni di guerra israeliana su Gaza una delle voci intellettuali più autorevoli e impegnate nello scuotere le coscienze per fermare il genocidio. Il suo intervento al festival di Emergency a Reggio Emilia ci ha offerto l’occasione per incontrarla e rivolgerle qualche domanda (il 26 ottobre sarà ad Umbrialibri).

Con il suo ultimo libro, dopo l’accurata ed esaustiva ricerca su Hamas e dopo la narrazione della Terra Santa, attraverso i suoi protagonisti millenari, gli alberi, perché c’era bisogno di un’icona come il sudario bianco per penetrare l’orrore dello spettacolo di un genocidio?

Terra Santa è una definizione “nostra”, parziale che si riferisce ad un preciso suprematismo dell’immaginario, che ha creato molti danni; Israele e Palestina è la definizione corrente, nel senso che ci sono due Stati, anzi uno che si considera uno Stato, l’altro che viene definita “Entità” anche se viene riconosciuta da buona parte del mondo. Perché il sudario? Ce l’hanno detto i giornalisti di Gaza, i fotografi palestinesi, proprio quelli che sono stati ammazzati dalle forze armate israeliane, quando ci hanno mostrato i corpi, nascondendoli; cioè hanno mostrato i corpi degli uccisi, così noi ci siamo accorti dei vivi che erano stati ammazzati. Fino a che non è emerso questo simbolismo del corpo, non ce e siamo accorti, come invece avremmo dovuto per fermare il genocidio.

La legge di Creonte che impone lo sterminio dei corpi sotto le macerie e la legge di Antigone, che muove alla compassione della sepoltura sotto le bombe entrano di nuovo in contraddizione. Sembra che l’Occidente non sappia uscire dai propri nodi contraddittori tra oppressione sterminatrice e rispetto delle libertà individuali. Lei parla infatti di naufragio morale. Cosa intende?

Questo, proprio questo! Noi non riconosciamo agli altri quanto riconosciamo a noi. Non sarebbe difficile coniugare la tutela dei diritti, immaginata nell’idea di Europa che pensavamo di costruire dopo la seconda guerra mondiale, con l’attenzione agli altri che non consideriamo come noi, bianchi, europei, benestanti. Se avessero ammazzato più di 60mila- ma saranno almeno il doppio - italiani, tedeschi, francesi quale sarebbe stata la nostra reazione? Come quella di Galli Della Loggia e chi dice che “in due anni hanno ammazzato solo 60mila palestinesi”?… Come facciamo a difendere la nostra dignità dall’oscenità di una frase di questo genere? Non è un naufragio morale questo? Mi stupisce che mentre le nuove generazioni gridano "mai più!” e riconoscano il genocidio vari intellettuali neghino l’evidenza e dicano che si può chiamare in qualsiasi altro modo. Non 

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