Il libraio di Gaza è il nuovo romanzo di Rachid Benzine, un dramma condiviso che intreccia memoria ed esilio, dove cultura e narrazione diventano strumenti di resistenza in un Paese «dove i vivi non sono ormai più vivi, ma non sono neppure morti»

«Qualcuno ha scritto, un giorno, che si riconosce la felicità dal rumore che fa andandosene»

(da Il libraio di Gaza)

Rachid Benzine, esperto di islam, è considerato una delle figure di spicco e riferimento dell’islam liberale di lingua francese. Il libraio di Gaza, suo ultimo romanzo (Corbaccio Ed., 2025), arriva nelle librerie italiane in un momento drammatico per la vita del popolo palestinese. Un racconto intimo e di rara intensità che, senza indugio alcuno, accompagna il lettore dentro la città di Gaza, nei quartieri, tra la sua gente, «in una terra in cui il tempo non gira come altrove» e dove la pace è sempre stata provvisoria. «Una città da riscrivere costantemente», dove dietro ogni sguardo c’è una storia; la storia di migliaia di vite. Ed è lì, a Gaza, che «ognuno segue la propria ispirazione, i propri puntini di sospensione» perché è lì che «tutti temono l’istante di quel gesto che potrebbe sfuggire al loro controllo, scrivendo la parola fine». Eppure a Gaza si continua a vivere. E in questo frastuono di vita, tra il folle e il grottesco, dove «i vivi non sono ormai più vivi, ma non sono neppure morti», Nabil un vecchio libraio, legge a due passi dalle rovine come se le parole potessero salvarlo da una morte lenta. È la storia di un dramma condiviso che narra di un popolo ferito, che si intreccia con la resistenza personale di chi trova nella parola un ultimo riparo. Un romanzo che erudisce il lettore alla complessità della storia della Palestina, facendosi esso stesso testimone. Memoria, esilio, guerra, amore per la lettura. Scrivere e trasmettere conoscenza per non dimenticare e non essere dimenticati. Un libro in cui cultura e narrazione diventano strumenti di resistenza in contesti segnati da guerra e repressione. Ne parliamo con l’autore.

Nel suo romanzo le parole evocano immagini intense, in un momento in cui il popolo palestinese sembra non avere neppure più aria della quale nutrirsi...

Ci domandiamo se le parole siano sufficienti a dire l’indicibile. Se le parole possano cambiare la realtà perché, di fronte alla brutalità che si sta abbattendo sugli abitanti di Gaza, è difficile pensare che le parole possano fare qualcosa. Allo stesso tempo però, anche se non abbiamo le parole per contrastare la disumanizzazione alla quale stiamo assistendo, dove neppure la politica trova quelle giuste, allora forse l’arte e la letteratura possono trovarle. Possono cioè creare uno spazio comune in cui ognuno di noi percepisce l’altro come sé stesso, sentire quello che l’altro sente.

Possiamo considerare la letteratura un vero e proprio atto politico?

Gli esseri umani sono degli esseri fatti di narrazioni e di storie. Di storie vissute e di libri letti; siamo

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