Le prime case mobili e l’acqua potabile arrivano a Borgo Mezzanone, la baraccopoli pugliese dove vivono senza servizi e con l’incubo di incendi circa duemila lavoratori. È il primo risultato delle loro lotte sindacali
In fuga non soltanto dalla guerra, ma anche dalla siccità che provoca carestie e strangola lentamente interi Paesi africani, loro sanno bene quale sia il valore dell’acqua. Dove c’è, si può lavorare la terra, coglierne i frutti, in una parola vivere. Per questo quei grandi serbatoi azzurri che sono finalmente arrivati a Borgo Mezzanone sono stati salutati come un evento. Già, perché ai lavoratori agricoli della Capitanata e del Tavoliere, migranti arrivati fin qui per raccogliere frutta, verdura e ortaggi che crescono negli sterminati campi pugliesi, mancava perfino l’acqua potabile. Sono stati versati fiumi di inchiostro per denunciare l’insostenibile condizione di chi vive in questa vecchia pista aeroportuale, a pochi chilometri da Foggia, costruita dagli alleati durante la Seconda guerra mondiale, dismessa un quarto di secolo fa e subito diventata, nel linguaggio burocratico, un centro di accoglienza per rifugiati. Quale accoglienza? Nemmeno l’acqua potabile hanno avuto, almeno fino a inizio di agosto.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login