«È la prima volta che la mia città viene travolta da una guerra. C’erano state tante avvisaglie, ma mai pensavamo che si arrivasse a tutto questo». La testimonianza di due giovani sudanesi sulla guerra civile che dilania il loro Paese
Sanaa osserva Akim con quei bei riccioli saltellare sul tatami durante la prima lezione di karate. Sua madre scrive ormai da aprile che va tutto bene. Lei sa che non è così; è soltanto perché non vuole darle pensieri e che, al contrario, il suo Paese sta bruciando, si sta come disintegrando. Incontriamo questa giovanissima sudanese e suo marito Kamal nella palestra del Quartiere San Gennaro dell’Unical, ad Arcavacata, nel Cosentino. All’Università della Calabria Kamal, 34 anni, ha un dottorato di ricerca alla facoltà di farmacia. Arrivò qui cinque anni fa da Khartoum, dove infuriano da aprile i combattimenti e dove sembra di essere in una città fantasma. Lei lo ha raggiunto solo tre mesi prima che scoppiasse l’inferno con i due bambini: il minuscolo karateka, quattro anni e mezzo, il piccolo Ali di sette. Appena in tempo. Il loro splendido Sudan è drammaticamente lontano, incredibilmente oltraggiato. Sanaa e Kamal per un attimo provano a non pensarci. «Abbiamo fatto altri tentativi con lui, Akim, ma i giochi con la palla non gli piacciono e nemmeno pattinare, come fa suo fratello. Vedremo che cosa combinerà con le arti marziali», dice Sanaa, accennando un sorriso, tenendo di continuo il cellulare tra le mani.
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