«Se venissero assegnati tutti i poteri a Milei, la democrazia finirebbe all’istante», dice lo studioso italoargentino. A soli due mesi dall’insediamento, il Paese è già nel caos: stipendi dimezzati per l’inflazione, svendita dei beni pubblici ai privati, Parlamento sotto attacco
Scrittore, saggista, docente universitario, Sabatino Annecchiarico, italo-argentino, è un esperto di storia, cultura e geopolitica latinoamericana. Gli abbiamo rivolto alcune domande sulla situazione politica in Argentina dopo l’elezione di Milei.
Professor Sabatino Annecchiarico, si aspettava la vittoria di Javier Milei, alle presidenziali del 10 dicembre?
Diciamo che era impossibile prevedere chi avrebbe potuto vincere queste elezioni, tant’è che, al primo turno, ha prevalso il peronista Sergio Massa. Sinceramente, la vittoria netta di Milei al ballottaggio è stata sorprendente anche per me: non mi aspettavo che Propuesta republicana (Pro), il partito della destra liberale, lo appoggiasse così apertamente al secondo turno dopo i pesanti insulti ricevuti da Milei durante la campagna elettorale. Azzardo a dire che Milei ha raccolto anche il malcontento di una fetta di elettorato che non fa parte della corrente neoliberale, di destra, bensì del peronismo e di altri indecisi, persino alcuni che tradizionalmente votavano a sinistra. Questo elettorato, che è andato in seguito a sommarsi a quello neoliberale e di destra, era stremato per la condizione economica in cui versava e quindi ha preso la decisione di votare un personaggio ignoto, uno sconosciuto nella politica argentina. I due ultimi governi, quello di Mauricio Macri (neoliberale) e di Alberto Fernández (peronista), hanno deluso un po’ tutti; in più, Milei, con delle proposte folli, ha unito questo anomalo elettorato agli antipodi, con la promessa di trovare soluzioni immediate.
Milei aveva un programma che garantiva lo smantellamento del welfare e la privatizzazione dei servizi fondamentali, dalla scuola alla sanità. Eppure, è stato votato da una popolazione già in difficoltà. Secondo lei, com’è stato possibile?
Sin dalla sua nascita come Repubblica democratica e federale (1816), l’Argentina è stata divisa in due correnti politiche diametralmente opposte: una a favore del libero mercato e dei porti spalancati alle transnazionali; l’altra, invece, più protezionista, nazionalista e favorevole alla presenza dello Stato nella sanità, nei trasporti e nell’istruzione, insomma, nella vita quotidiana della gente. Assicurando lo smantellamento del welfare e la privatizzazione di tutto, riducendo al minino la presenza dello Stato, Milei, che risponde alla prima corrente politica, ha fatto credere a una buona parte della popolazione argentina che lo Stato fosse il male assoluto di una società, concetto che ha ripetuto pubblicamente durante la recente visita in Italia con affermazioni pubbliche che «lo Stato è il nemico, è una associazione criminale». Ha vinto dunque portando la gente a credere che ci fosse qualcosa di razionale in ciò che diceva; razionalità sostenuta da quella potente stampa argentina favorevole a questo pensiero politico neoliberale. Ad esempio, per quanto riguarda la svalutazione del peso argentino e l’inflazione alle stelle, Milei spiegava l’importanza di puntare sul dollaro, poiché “dollarizzare” il Paese avrebbe risolto il problema. La sua propaganda è stata lungimirante: dopo le elezioni, chi guadagnava in peso avrebbe iniziato a guadagnare in dollaro. Come conseguenza, molti hanno “abboccato”, credendo che, nel giro di 24 ore, sarebbero diventati “ricchi”, e quindi tantissimi argentini l’hanno scelto per questo. Le persone, però, non si aspettavano le misure immediatamente prese dopo l’insediamento, valutate come una richiesta di avere pieni poteri. Oltre allo smantellamento del Welfare State, Milei mira a riassettare l’intero Paese.
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