Non più solo produttore di oggetti a basso costo, la Cina oggi è all’avanguardia nel produrre merci ad alto contenuto tecnologico e punta ad assemblare le auto elettriche in Europa per bypassare i dazi
Il mondo è cambiato. Ma non sappiamo ancora se in meglio o in peggio. Pedalando un giorno, oltre quarant’anni fa, su una strada polverosa di Pechino vidi passare una Fiat e un amico cinese mi disse che erano da poco arrivate in città delle macchine italiane. Sfrecciavano sulle strade cinesi, leggere ed eleganti a confronto delle massicce macchine di produzione sovietica o cinese, come le mitiche Bandiera Rossa (Hongqi), la prima marca di automobili cinesi, fondata nel 1958, dove sedeva il presidente Mao.
Scoprii che la fabbrica torinese era stata la prima azienda automobilistica occidentale ad arrivare in Cina, dove aveva venduto un primo lotto di auto nel tentativo di entrare nel mercato del trasporto cinese, allora proverbialmente dominato dalle biciclette. Le grandi arterie della capitale, larghe decine di metri avevano quattro corsie centrali per le auto e una enorme corsia laterale, dove notte e giorno, si affollavano nugoli di biciclette scampanellanti. Ogni imprenditore che sbarcava in Cina ripeteva la frase: Ah, se potessi vendere un faro a ciascuna di queste biciclette diventerei l’uomo più ricco del mondo!
Sono passati solo alcuni decenni ed oggi i nostri giornali sono pieni di notizie sulle trattative fra i governi europei e la Cina per l’apertura nel nostro continente di uno stabilimento per l’assemblaggio di auto elettriche cinesi. Come accaduto per l’elettronica un tempo dominio incontrastato degli Stati Uniti, forse, a breve, guideremo tutti auto elettriche cinesi.
La politica estera cinese segue rigorosamente le necessità economiche del Paese, senza ideologie o infingimenti. La progressiva trasformazione della Cina da un Paese manifatturiero di prodotti a basso costo a un Paese produttore di beni ad elevato valore tecnologico è il frutto di una attenta politica sociale e educativa, governata da scelte precise e mirate; quali ad esempio il potenziamento del sistema scolastico ed accademico, accompagnato da enormi investimenti in ricerca e sperimentazione. Finché la Cina era un Paese esportatore di beni di largo consumo era sufficiente mantenere ed incentivare relazioni volte semplicemente all’apertura dei mercati internazionali. La cosiddetta globalizzazione ha dato uno sbocco ai prodotti cinesi, spesso di buona qualità, realizzati a costi contenuti e secondo le esigenze dei committenti stranieri.
Questo computer sicuramente è stato assemblato, se non costruito integralmente da mani cinesi. Oggi, o meglio negli ultimi anni, certamente dopo l’epidemia del Covid, le esigenze internazionali della Cina sono cambiate.
Non si è trattato più di assecondare i bisogni dei mercati internazionali, ma di sostenere la creazione e lo sviluppo di tali bisogni direttamente fuori dai confini nazionali.
Nel 2013 la Cina ha lanciato la politica della cosiddetta “Via della Seta” (Yidai yilu), navale o terrestre, per incentivare e sostenere la creazione di nuovi mercati in altri Paesi così da sorreggere la produzione cinese, come ad esempio in Africa dove la Cina sta costruendo numerose infrastrutture commerciali, oppure per facilitare lo sviluppo delle relazioni commerciali attraverso il continente euroasiatico. Infatti, su questo fronte la Cina ha lavorato per ottenere infrastrutture in grado di agevolare la propria espansione commerciale in Europa: il porto di Taranto, mai ceduto a causa della difficoltà di garantire un adeguato supporto logistico ed infrastrutturale nel suo entroterra; Vado Ligure, Portogruaro in Veneto, il porto di Genova, il collegamento ferroviario diretto fra Cina ed Europa: tutte azioni volte ad aprire sbocchi per agevolare il flusso di merci cinesi in Europa.
Adesso si sta aprendo una nuova fase. Non più solo merci cinesi a basso costo, adattate alle esigenze dei mercati esteri, ma anche e sempre più prodotti ad elevato contenuto tecnologico, oggetti all’avanguardia, come le auto a trazione elettrica.
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