I cambiamenti epocali nelle condizioni di lavoro. E poi il ruolo dei sindacati, le responsabilità dei governi, le aspirazioni e le delusioni dei lavoratori. "Storia del lavoro nell’Italia contemporanea” di Gallo e Loreto è anche
una storia politica. Che fa comprendere la deriva del presente
La Storia del lavoro nell’Italia contemporanea scritta da Stefano Gallo e Fabrizio Loreto per la collana Le vie della civiltà de Il Mulino (2024) non è solo un necessario aggiornamento e sostituzione come testo di riferimento per i corsi universitari di Storia del lavoro della meritoria Storia del lavoro in Italia dall’unità ad oggi pubblicata da Stefano Musso nel 2002 per Marsilio. Pur utilizzando fonti secondarie, che spesso sono tuttavia ricerche originali dei due autori, e contributi della comunità dei membri della Società italiana di storia del lavoro (SisLav) la pubblicazione offre interessanti caratteri di originalità a partire dall’introduzione e dall’architettura del testo. Ci riferiamo alla possibilità di due percorsi di lettura che possono sia seguire le grandi e classiche partiture cronologiche e politiche (“L’Italia liberale”, “L’età giolittiana”, “L’Italia fascista” fino a “L’Italia nel tempo presente”) che gli sviluppi per campi tematici attraverso capitoli dedicati e ricorrenti di una serie di elementi colti nel divenire come “Economia e mercato del lavoro”, “Relazioni e dinamiche sociali”, “Organizzazione del lavoro”, “Rappresentanza e resistenza”, “Istituzioni e norme” e l’innovativo e davvero ben riuscito e godibile capitolo “Rappresentazioni del lavoro”.
La storia del lavoro è per gli autori, riprendendo Luigi Dal Pane, storia generale attraverso cui leggere la globalità e la pienezza dei fatti storici. Una storia a partire dalle storie delle persone che per vivere hanno bisogno di lavorare, partendo da quelle meno libere, che subiscono un maggior grado di soggezione, seguendone le attività e le condizioni professionali, la situazione sociale e le reti di relazione, le organizzazioni di rappresentanza, le forme della sociabilità e le aspirazioni individuali e collettive.
La storia del lavoro dunque non come appendice della storia dell’industria e del mutare delle tecniche, bensì come forma storicamente determinata della costruzione della soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici. Non accessorio nel divenire storicamente determinato del capitale e dei capitalismi, ma fattore coessenziale - a partire dalla stagione ottocentesca - del farsi della grande storia. Ed è questa una tensione che attraversa fruttuosamente tutto il volume, il divenire il lavoro da fatto individuale fatto collettivo, il suo faticoso sottrarsi dall’egemonia sia dell’interclassismo mazziniano che del paternalismo padronale, trovando nel momento lavorativo spazi di autonomia oscillanti dalla valorizzazione delle professionalità dell’operaio altamente specializzato e di mestiere all’irruzione dentro e fuori la fabbrica dell’operaio massa totalmente dequalificato, all’anomia come forma di resistenza al corporativismo fascista con la sua gestione dello stesso tempo del dopolavoro, alla ricorrente ed attuale subordinazione del lavoro in un sistema di concertazione triangolare che ha visto momenti alti e nefasti negli anni Novanta del secolo scorso.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login