«Il Pnrr non ha puntato a formare e dare lavoro a nuove professionalità», dice il ricercatore che ha partecipato alla Strategia nazionale delle aree interne e ha scritto "L’Italia vuota". Una riflessione sul futuro di una parte del Paese ancora ai margini che la politica non vede
Filippo Tantillo, ricercatore, attivista e film-maker
Filippo Tantillo ha partecipato alla Strategia nazionale delle aree interne (Snai) promossa nel 2013 dall’Agenzia della coesione territoriale e dal ministro Barca, fa parte dell’associazione Riabitare l’Italia e del Forum disuguaglianze. Ha scritto L’Italia vuota. Viaggio nelle aree interne (Laterza). Tantillo, la Strategia aree interne è stata una rottura rispetto al passato? Sì, per più ragioni. Intanto, per pensare una politica a partire dalla conoscenza dei luoghi. È stata anche una grande operazione di ricerca su un pezzo di Paese sconosciuto o raccontato attraverso stereotipi, che si è rivelato essere tutt’altro che marginale per immaginare un futuro dell’intero Paese, incluse le città. Inoltre si ribaltava l’idea che aveva sostenuto tutta la lunga stagione dello “sviluppo locale”, che lo spopolamento cioè fosse originato da un deficit di sviluppo. Le aree interne (cioè quelle che più perdono popolazione) non coincidono, se non parzialmente, con le aree di svantaggio. Le grandi povertà, come anche le grandi ricchezze in Italia si concentrano nelle aree urbane. Le aree interne sono anche aree ricche di risparmi privati, ma povere di beni pubblici. Quindi legare lo spopolamento alla carenza di servizi di base ci ha permesso un ripensamento del welfare. Un’altra innovazione è stata rimettere al centro le persone, chiamate a costruire e coprogrammare con le amministrazioni pubbliche, a partire dalla loro conoscenza del territorio, un disegno strategico, un programma per rispondere alla domanda: cosa ce ne facciamo di 5mila paesi di pietra all’apparenza senza futuro? Con quale idea di base? Quella per cui non si può costruire un futuro per l’Italia ignorando il 60% del territorio, quasi 15 milioni di persone che lavorano e producono, innovano in contesti trasformati dalla crisi climatica e che sperimentano soluzioni utili anche per le città. Nel libro L’Italia vuota accenna a 72 progetti finanziati dalla Snai. Che ne è stato? Non esiste un quadro generale, perché la Snai ha generato molte resistenze e il disegno nazionale è stato in qualche maniera cancellato. Ad oggi non c’è un centro di competenza (com’era il Comitato interministeriale aree interne) dove si valutano e si raccolgono gli esiti delle politiche messe in campo. È però innegabile che alcuni progetti, come quello dell’infermiere di comunità abbiano sostanzialmente cambiato la vita in molte zone.

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