Amnesty international ha stilato un rapporto sul diritto di manifestare in 21 Stati europei, Italia compresa. Il quadro è sconfortante: si va dalla criminalizzazione degli attivisti all’uso della forza, da restrizioni ingiustificate fino a un vero e proprio modello europeo di leggi repressive
Le studentesse e gli studenti scesi in piazza all’inizio di luglio 2024 in Bangladesh per protestare contro una legge che, se approvata, avrebbe riservato quote sproporzionate nell’impiego pubblico agli eredi dei veterani della guerra di liberazione del 1971, avevano messo in conto che sarebbero stati affrontati da una repressione durissima. Ma pochi di loro avrebbero mai immaginato di ritrovarsi, poche settimane dopo, nel giorno dell’inaugurazione del suo governo intorno al nuovo primo ministro ad interim che aveva preso il posto dell’autoritaria Sheikh Hasina, il Nobel per la pace Muhammad Yunus.
Allo stesso modo, pochi tra i giovani e le giovani scesi in piazza a primavera in Kenya per chiedere il ritiro della legge finanziaria 2024 che avrebbe impoverito buona parte della popolazione avevano sperato che quel provvedimento sarebbe stato ritirato in breve tempo.
Sono due esempi di proteste pacifiche che hanno ottenuto un cambiamento. Certo, a un costo umano altissimo. Le proteste del 2019 in Cile, del 2021 in Colombia e del 2022 nello Sri Lanka, anch’esse represse con grande spargimento di sangue, hanno portato alla guida delle istituzioni figure nuove, in parte provenienti proprio dalle piazze o che con quelle piazze avevano solidarizzato.
In Iran, nelle proteste della fine del 2022, la repressione ha fatto oltre 537 morti (e almeno altri 10 manifestanti sono stati impiccati nei mesi successivi), ma in quel Paese se non è cambiato il governo e non sono cambiate le leggi, è successo un fatto epocale, ossia la scesa in piazza di mariti, padri e figli accanto alle ragazze e alle donne, le seconde a lottare per il riconoscimento dei loro diritti, i primi finalmente pronti a rinunciare ai loro privilegi.
Non nascondiamo la parte del bicchiere mezzo vuoto: ci sono proteste di massa che non ottengono nulla, almeno nel breve periodo, e le persone sopravvissute e le famiglie delle vittime iniziano una penosa seconda lotta per ottenere giustizia. A volte ci riescono, a volte prevale l’impunità. Che la protesta pacifica dia fastidio lo dimostrano i dati di Amnesty international: in quasi 90 Stati del mondo la libertà di rivendicare diritti o contestare le politiche governative viene repressa in una pluralità di modi.
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