Nel mondo in questo momento ci sono oltre 30 conflitti e più di 20 aree di crisi. Ma per ogni singola guerra c’è una storia di speranza, di ribellione alla guerra stessa e ai politici che ci lucrano sopra
Sarà un anno difficile, più difficile del già terribile 2024. Non è pessimismo: è realismo. Parlare di pace - non di semplice fine delle guerre, ma di un sistema integrato di vita quotidiana - con davanti agli occhi l’eccidio dei palestinesi a Gaza, l’arroganza militare di Israele in tutto il Vicino Oriente, la politica criminale di Putin in Ucraina, le situazioni del Sahel e del Myanmar, solo per citare le situazioni più note, è quasi ingenuo. Raccontare che la pace è conveniente e intelligente mentre il pianeta si spacca in fazioni armate pro o contro il dogma del “dollaro moneta commerciale planetaria”, è praticamente impossibile. Quasi impossibile. Un po’ di speranza c’è. Sappiamo che le cose potrebbero, nonostante tutto, cambiare. Possiamo immaginare che, alla fine, i cattivi potrebbero non vincere. Perché? Provo a spiegarlo. In questo momento, ci sono 31 guerre in corso e 25 aree di crisi. Ogni guerra e ogni area di crisi ha protagonisti precisi, che non sono - come vogliamo sempre pensare e raccontare - i politici o i generali. Sono le persone come noi, i civili, quelli che la guerra la subiscono. Sono tanti, tantissimi, questi nuovi protagonisti. In guerra oggi, ogni dieci morti, nove sono civili. Una strage confermata dai dati: 45mila morti nella Striscia di Gaza, almeno 3mila in Libano, circa 45mila nelle guerre africane. Non abbiamo numeri sul Myanmar, ma certamente non va meglio. A questi dobbiamo aggiungere i 130 milioni di profughi del Pianeta: in pratica un abitante ogni ottanta è in fuga da una guerra o da una calamità naturale. Prima cosa da fare, quindi: spostare l’attenzione, cambiare il racconto della guerra. Noi ne parliamo sempre come causa, a cose avvenute, mai come effetto di conflitti irrisolti e diritti non garantiti. La guerra è cosa che decidono pochi politici - questo si sa, democratici o autocrati che siano -, ma poi riguarda i popoli. E allora le risposte vanno cercate lì, nelle incredibili cose che le persone comuni, quelle spaventate, ma che vogliono vivere, fanno nelle situazioni di guerra per creare una quotidianità vivibile e per uscire dalla guerra stessa. È interessante scoprire queste storie.

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