Alle porte di Malindi c’è una grande discarica, alimentata dagli scarti dei resort per super ricchi che svernano lungo le coste del Kenya. Ogni giorno migliaia di piccoli affamati sfidano i miasmi e la sporcizia per trovare qualcosa da mangiare e un po’ di plastica da vendere

Da “mangiare” arriva tutti i mercoledì. Tutti i mercoledì è guerra. A piedi nudi, ignorando rischi mortali di ogni tipo, i bambini si lanciano sulle montagne di spazzatura dove le macchine che vengono “dall’altro mondo” rovesciano i rifiuti dei resort per miliardari a poco più di un miglio in linea d’aria. Scavano, lottano tra loro, lottano con i corvi che a ripetizione si fiondano giù a centinaia come aerei da combattimento impazziti. Occorre sopravvivere. Correndo, scavando, battersi per un mango marcio, una testa di pesce senza carne, senza occhi, oppure per nulla, tra fuochi e fumi perenni, putrefazioni tossiche, quest’aria irrespirabile. È la non vita dei “bambini spazzatura”, li chiamano così, nati e cresciuti tra i sopravvissuti della Mayungu dumpsite, la grande discarica alle porte di Malindi, celebre città costiera a sud di quel Kenya a immagine delle orde di turisti tatuati. Gli italiani non si contano più, comandano la legione con bandana, braccialetti Masai e anzitutto conti in banca adeguati alle centinaia di euro al giorno che occorrono per una villeggiatura di lusso, programmando champagne, aragoste, safari, scambiando così l’Africa per un enorme parco di divertimenti e basta.

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