Le pagine del calendario che trovate nel mezzo di questo numero, sono il tempo che Enzo Costa non ha più. Ci sono arrivate per mail la mattina del 15 dicembre, col consueto messaggio gentile e discreto: «Fammi sapere se lo ritenete adatto a Left». Enzo comunicava così, come nei suoi aforismi: non proponeva, ma suggeriva, poi era l’interlocutore, o il lettore, a dover decidere se entrare nelle piccole stanze che costruiva con le parole. Certo, se entravi non avevi scampo. Non c’erano sconti, indulgenze, possibilità di fraintendimento.
Enzo, sovversore dell’ordine semantico costituito, se n’è andato in un attimo, poche ore dopo, per una crisi cardiaca. Il suo ultimo lemma – “Onestà” – era già in pagina e lui aveva appena rilanciato su facebook il lemma del numero in edicola. Alle 16,51 è arrivato un messaggio dalla sua mail, ma non era suo: «Sono Aglaja, devo scrivere quello che mai avrei voluto scrivere: Enzo è morto poco fa. Scusate, non so aggiungere altro». Abbiamo sperato che fosse una specie di scherzo. L’incipit di un messaggio più lungo che si era interrotto. Come se fosse possibile che Enzo, almeno una volta, una sola, non prendesse sul serio il senso delle parole, che ha difeso eroicamente, strenuamente, fino allo sfinimento, per tutta la sua breve vita. Abbiamo insensatamente atteso il seguito, la battuta finale, il graffio. Abbiamo aperto il file del calendario e letto la frase che Enzo ha scritto nella prima pagina: «Ho avuto un incubo: andavo nel futuro con la macchina del tempo, ma poi non ho trovato un posto dove parcheggiarla».
Enzo ci redarguirebbe se provassimo a far passare quella frase come una premonizione. No, non credo proprio che avesse in mente la propria morte. Ha convissuto, come tutta la nostra generazione, con quella dei luoghi dello scrivere: era questa la morte che temeva. Ha sofferto come un lutto la chiusura de l’Unità, salendo subito dopo – generosamente, gratuitamente – su questa barca fragilissima. Anche per questo lo sentiremo al nostro fianco fino all’ultimo colpo di remi.