Venezia è come un palinsestoin cui le epoche e il susseguirsi delle generazioni si lascia leggere in filigrana. È il miracolo di una città sull’acqua in cui ogni palazzo storico è differente dall’altro, con un tocco di originalità, ma entrando in risonanza con l’intorno, concorrendo a comporre l’immagine di una città unica al mondo. È questa continua trasformazione della laguna e dell’identità urbana senza perdere mai la propria “anima” che Gianni Berengo Gardin ha saputo cogliere e documentare nei suoi straordinari scatti.
Per oltre cinquant’anni, fino all’inaccettabile sfregio che si registra ai nostri giorni, con grandi navi da turismo che svettano a pochi metri da piazza San Marco, inquinando e rovinando il paesaggio con la loro dismisura. Amando immensamente la città, Berengo Gardin ha messo a servizio la propria arte per denunciare questo scempio e le sue foto, grazie alla sua fama internazionale, hanno fatto rapidamente il giro del mondo. Alcune di queste drammatiche immagini che raccontano l’agonia di Venezia sono ora in mostra nell‘antologica che gli dedica Contrasto-Forma nelle sale di Palazzo delle Esposizioni a Roma.
Con il titolo Vera fotografia la mostra, curata da Alessandra Mammì e Alessandra Mauro, ripercorre tutta la longeva carriera di questo maestro che ha raccontato l’Italia con impegno civile e attenzione alle persone, al paesaggio, al patrimonio d’arte. Allievo di Piero Monti, al quale si deve la prima, straordinaria, mappa fotografica dei beni culturali in Italia (strumento essenziale per la tutela), Berengo Gardin ha fatto proprio il compito di documentare non solo i centri storici e il patrimonio diffuso lungo tutta la penisola, ma anche le trasformazioni della realtà urbana, il degrado, i “non luoghi” di periferia. A 85 anni, dopo cinquant’anni in bianco e nero e 250 libri, continua a praticare la fotografia con passione. Come testimonia questa retrospettiva romana affacciata sul presente, fuori da ogni retorica celebrativa.
Vi si ritrovano qui gli scatti più estetizzanti in cui si può riconoscere l’influenza della tradizione francese Cartier-Bresson, Doisneau, Boubat e di quella sociale americana alla Willy Ronis con il quale entrò in rapporto diretto negli anni Cinquanta. A Roma, dopo il passaggio alla Biennale foto industria, approdano anche alcune fotografie della sua straordinaria collaborazione con Adriano Olivetti, in cui in primo piano ci sono le macchine, le catene di montaggio, gli ingranaggi, mettendo insieme estetica e sociale, tanto che alcuni di questi scatti in corrusco e drammatico bianco e nero sembrano delle pitture costruttiviste e quasi astratte.