Il mercato globale del cibo presto passerà dalle mani dei “6 Grandi” a quelle dei “3 Enormi”. Sono gli stessi big dell’agroindustria che controllano la filiera della produzione agricola, dai fertilizzanti ai pesticidi, passando per semi e – soprattutto – brevetti. Ora lavorano alacremente per rafforzarsi a suon di fusioni: il colosso tedesco Bayer ha appena concluso l’accordo per acquisire la statunitense Monsanto con un esborso di 66 miliardi di dollari; Dow Chemical ha annunciato, a fine 2015, la fusione con DuPont, un affare da 130 miliardi; China National Chemical Corp rileverà l’elvetica Syngenta per oltre 43 miliardi di dollari. Diminuiscono i soggetti in campo ma si ingigantiscono i rischi per contadini e consumatori. Presi singolarmante, questi big dell’agroalimentare hanno già curricula di tutto rispetto quanto a potere di lobby e imposizione dei loro interessi.
Ora tre mega-presidenti dietro altrettante mega-scrivanie decideranno cosa coltiveremo (quindi cosa mangeremo) e a che prezzo, infischiandosene di ogni eventuale volontà popolare. I loro mezzi potenti di persuasione sono stati già dispiegati. Ci raccontano di scenari ottimistici che si aprono, di quelle che definiscono “partnership e strategie di efficientamento preziose per il consumatore finale”. Mentre gli addetti ai lavori si indignano e si mobilitano. Fanno l’elenco dei rischi che corriamo, dal campo alla tavola, e gridano alla perdita di sovranità. E noi, cittadini comuni, come spesso accade per le notizie che riguardano questioni globali, percepiamo il pericolo ma non abbiamo strumenti per reagire. O almeno non li individuiamo facilmente.
Ora voglio proporvi un cambio di scala e di argomento (ma neanche troppo). Italia. Riforme costituzionali: il presidente del Consiglio, forte del fatto che il testo non apporta modifiche esplicite in materia, ci spiega che la sua riforma «non tocca minimamente il sistema dei poteri del premier, del controllo e delle garanzie». Eppure basta leggere la riforma per verificare che, se dovesse passare, il presidente del Consiglio avrebbe un controllo ancora maggiore sul procedimento legislativo. E questo pur non volendo considerare il peso della legge elettorale, l’Italicum dei cui destini costituzionali sapremo probabilmente soltanto dopo il referendum. Sembra una battuta, ma si voleva evitare l’uso politico dell’eventuale bocciatura. Con la riforma Boschi-Renzi, ad esempio, il presidente del Consiglio eserciterebbe uno stretto controllo sulla Camera dei deputati e finirebbe perciò per avere più peso del presidente della Repubblica (eletto dalla Camera e da un Senato svuotato di senso), mettendone a rischio l’imparzialità.
Non è una concentrazione di poteri che dovrebbe allarmare anche questa? Non sappiamo se – come sostiene Giuliano Pisapia – «non è in gioco la democrazia», ma certamente è in gioco un’idea di democrazia. Quella in cui la sovranità appartiene al popolo e non alle consorterie di turno, quella in cui si ha tanto il diritto quanto il dovere di esercitare il dissenso, in cui si decide nell’interesse generale. Quella in cui per governare non serve l’uomo solo al comando ma «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (e non è necessario, purtroppo, non toccare i primi articoli della Costituzione per non vederli stravolti).
Alcuni osservatori fanno notare che in realtà le fusioni tra i big dell’agroindustria rappresentano anche un segnale di debolezza. I fatturati calano e loro sono costretti – per puro spirito di autoconservazione – a fare squadra. Segno che il tempo dei “too big to fail”, quello del potere nelle mani del famoso 1 per cento che decide per il 99 per cento, sta per scadere e che sono costretti ad asserragliarsi nella roccaforte per mantenere il timone del comando. Sarà pure un paragone inappropriato, ma dietro questa riforma costituzionale c’è la stessa logica conservatrice e accentratrice. Che si tratti dello scrittoio di palazzo Chigi o della mega-scrivania all’ultimo piano del grattacielo di proprietà di una multinazionale, ormai il re è nudo. Mezzo miliardo di agricoltori nel mondo e, in Italia, 51 milioni di elettori stanno prendendo coscienza del fatto che a volte servono No decisi per spianare la strada ai tanti Sì su cui fonderemo un Pianeta e un Paese più giusti.