È dura. Come sempre, e non ci gira intorno. È stanca? No. È sempre lì, questa la sorpresa ogni volta, e combatte. Qualche giorno fa, l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino, insieme ai Radicali italiani ha organizzato un convegno, “Come vincere la sfida dell’immigrazione?”: perché è ora «di superare la logica della Bossi-Fini», una legge vecchia di quindici anni che ragiona per «rimpatri e accordi bilaterali» in un mondo che non è più quello. «Occorre scendere per strada e iniziare a dire la verità», dice. Sembra uno slogan ma non lo è. La pasionaria Bonino ha lanciato la mobilitazione per una Legge di iniziativa popolare che superi il vecchio impianto della Bossi-Fini e il racconto falso di una continua emergenza a cui far fronte respingendo i migranti, «tappandoli in Africa o costruendo muri e muretti». «Mentre invasione non è, ci servono». Bisogna cambiare il racconto e lavorare seriamente sull’integrazione.
Emma, che sta succedendo a Belgrado? Sono giorni che vediamo immagini terribili, migliaia di persone fare la fila al freddo e al gelo per un tozzo di pane…
Sì, sono stati fatti paragoni col ’43 e nel frattempo, non dimentichiamolo, ne sono affogati qualche centinaio nel Mediterraneo. Il punto rimane sempre lo stesso. Solo in questi primi venti giorni del 2017 sono sbarcate (salvate o non salvate) 2.800 persone, esattamente il doppio dell’anno scorso nello stesso periodo. E continuerà, questo è evidente, nonostante il periodo invernale. In più in Libia, come si sa, sono “tappati” (letteralmente tappati) in condizioni terribili di stupri e violenze più di 260mila, se non 300mila rifugiati provenienti da vari Paesi africani. La situazione è questa e, foto o non foto, ogni giorno che passa, si conferma il dato tra rifugiati e migranti. E l’unica cosa che viene in mente all’Europa è di tapparli da qualche parte.
Bisogna poi tener conto che su dieci africani in mobilità solo uno tenta la strada europea, gli altri si muovono all’interno del continente, già fragili di loro, con conseguenze che si vedranno, forse, tra qualche anno.
«Usciamo per strada con una legge di iniziativa popolare per cambiare racconto sull’immigrazione», hai dichiarato così in occasione dell’incontro al Senato, dove hai lanciato con i Radicali Italiani la proposta di una mobilitazione nazionale su una Legge d’iniziativa popolare di riforma della Bossi-Fini…
Ho detto sostanzialmente che è inutile che ci riuniamo tra “già convinti”, e che quello che serve e che finora non c’è stato è una risposta coraggiosa ai vari stereotipi e bufale e menzogne che sono state rovesciate, senza mai un contraltare autorevole, sull’opinione pubblica italiana. In giro ci sono stereotipi di tutti i tipi: è un’invasione, ci rubano il lavoro, pesano sul bilancio dello Stato…tutte falsità. Su cui nessuno ha reagito molto, neanche dicendo banalmente che il declino demografico del nostro Paese – come quello della Spagna, del Portogallo, della Germania e della Bulgaria – fa sì che, per esempio, in Italia per mantenere un equilibrio tra forza lavoro e pensionati servirebbero 160mila nuove forze ogni anno per i prossimi dieci anni. Perché siamo un Paese e un continente che diventa sempre più vecchio. Per cui se non si dicono queste verità e invece continua a girare la voce che “ci rubano le pensioni”, oltre a salvare le persone, a fare il meglio che si può, a garantire assistenza a chi riesce ad arrivare, non cambierà mai nulla. Dobbiamo invece dare una risposta coraggiosa, dire delle verità anche scomode e proporre una politica che certamente di questi tempi non va per la maggiore, quella che porta a una necessaria integrazione. Perché, ripeto, a parte i valori, noi ne abbiamo bisogno. Questa sarebbe una politica – e devo dire che capita raramente – in cui gli interessi nazionali coincidono con i valori. Quindi, in teoria dovrebbe essere facilissimo portarla avanti, perché succede davvero di rado che gli interessi coincidano con i valori. Questa è una di quelle rare volte. Eppure non accade.
L’intervista del direttore Ilaria Bonaccorsi a Emma Bonino, continua su Left in edicola. Del servizio di copertina, fa parte il reportage Umanità sottozero, realizzato da Stefano Catone con le foto di Johannes Moths, che ci porta a Belgrado. Dove profughi afghani, pakistani e siriani, sono rimasti incastrati nel gelo davanti all’ennesima frontiera, quella Serba.
«Vagano avvolti nelle coperte grigie e con ai piedi scarpe sfasciate e ciabatte di plastica. Sono partiti mesi fa ma il loro cammino si è fermato a Subotica, al confine ungherese. Non oggi, non ieri, ma settimane fa. Quando i muri li hanno bloccati in Serbia».
Gli articoli integrali del servizio di copertina li trovate su Left in edicola dal 28 gennaio