«Aspettavo parole che mi restituissero giustizia», ha detto l'ex sindaco di Riace dopo che i giudici di appello di Reggio Calabria hanno riabilitato il suo modello di accoglienza dei migranti. Una lunga odissea di cui Lucano, candidato alle Europee, parla in questa intervista e il 21 maggio alla Villetta a Roma, alle 18, in dialogo con Massimiliano Smeriglio e Marilena Grassadonia, Amedeo Ciaccheri e Andrea Costa moderati da Left

Ci sono persone a cui la storia consegna un fardello da portare con rigore. Che sia per ingenuità o caparbietà, che sia per coraggio o per ostinazione, queste persone non si fermano, non riposano, non poggiano a terra il peso di una battaglia per dire: basta, non posso più.
A Roma diremmo che “chi nasce tondo, non muore quadrato” e per quanto la vita sia un infinito rincorrere la dimostrazione che invece non sia così, che tutti noi cambiamo continuamente scossi dagli eventi e dagli incontri, questa piccola massima popolare per alcuni diventa un vestito magnifico e terribile, che non si può riporre. Ci sono, queste persone. Molte rimangono nell’anonimato, tante, proprio per questa straordinaria condotta, diventano icone, senza desiderarlo.
Mimì Lucano è una di queste.

Torniamo sulla vicenda di Domenico Lucano a distanza di qualche mese. Left non ha mai fatto mancare la sua attenzione alla battaglia di giustizia di questo combattente per l’accoglienza e la libertà ma nel preparare questo nuovo appuntamento con Mimmo, una notizia importante ha trasformato in verità giudiziaria una consapevolezza che non ha mai lasciato l’opinione pubblica del nostro Paese. Tra colloqui telefonici notturni, e incontri assolati tra Riace e Roma, abbiamo ripercorso insieme a Mimì la sua storia. Non un semplice esercizio di verità bensì ripartiamo da oggi. Da un tempo di guerra e da una sentenza d’assoluzione (il 12 aprile sono state pubblicate le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria ndr) che finalmente mette nero su bianco la violenza di un impianto accusatorio originario, quello del processo Xenia del Tribunale di Locri, che è poco dire vessatorio.

«Voglio cominciare da una delle ultime iniziative a cui ho partecipato a San Giovanni in Fiore, il paese di Mario Oliverio, ex presidente della Regione Calabria. La persecuzione giudiziaria che ha subito Oliverio ha tanti tratti in comune con la vicenda giudiziaria che ho attraversato negli ultimi anni ma non li affronterò ora, si possono ritrovare nel libro di Adriana Toman Pregiudizio di Stato (Città del sole edizioni). Quello che voglio dire è che abbiamo subito assieme a Mario una persecuzione che non era personale, ma politica, perché in Calabria nulla doveva cambiare, né dall’alto, né dal basso. L’attacco che ho subito sta tutto qua.

Chi mi attaccava con ferocia voleva dirmi questo: fai il sindaco, non andare oltre, non interessarti di questioni politiche troppo grandi, rimani neutrale. Ho fatto il contrario e Riace è diventata l’icona dell’accoglienza contro la retorica dei porti chiusi e questo ho pagato. Del libro sul caso Oliverio mi rimane impresso il titolo di un capitolo “Cristo si è fermato a Eboli, ma è risorto a Riace”. Mi fa pensare». Mimì l’architetto di comunità, Mimì il costruttore di mondi, Mimì il sindaco e Mimì il militante, Mimì il curdo e Mimì capatosta: quanti volti possiamo essere quando siamo parte di una storia più grande. Ma in questi anni l’opinione pubblica è stata travolta da un altro racconto.

Mimì – chiediamo – ti hanno descritto come un criminale pronto a lucrare sui migranti, ti hanno insultato, offeso, esiliato. Oggi che i giudici di appello di Reggio Calabria, non solo ti assolvono, ma ti riconoscono di aver guardato in alto, forse troppo in alto, per costruire un progetto di accoglienza ostinato, che ti rimane di questa battaglia?
«Orgoglio. Più della libertà, aspettavo parole che mi restituissero giustizia per un orgoglio ferito. Il mio, quello dei miei figli, quello dei tanti che senza confini hanno sentito Riace come una speranza politica e sociale per un mondo più giusto, non solo per i migranti. Cosa valgono le nostre battaglie, se non possiamo con la nostra ostinata convinzione affermare l’orgoglio di essere stati dalla parte giusta, senza arricchirci, senza risparmiarci. Cancellare il sospetto, controbattere il tentativo di avvelenare l’opinione pubblica, questa è la soddisfazione della sentenza che mi ha riguardato. Perché non ero solo io a essere colpito ma tutti i popoli che non hanno mai cessato di lottare per la libertà, tutte le persone che per questo si sono sacrificate». E continua: «Ho iniziato a fare il sindaco con lo stesso spirito che avevo quando, giovane militante di estrema sinistra, partecipavo al collettivo Salvador Allende. Erano gli anni dei meeting di Porto Alegre e per me la dimensione locale non poteva essere distante da qualcosa di più grande. Poi è arrivato il vento, lo sbarco di quei primi migranti che venivano dal Kurdistan, con la forza di una storia di lotta e riscatto, e come una serie di coincidenze che si intrecciano una dopo l’altra è nato in questo piccolo paese un laboratorio politico dove l’urgenza di accogliere si univa all’impegno per non veder morire la nostra economia, le nostre città. Nelle parole di quei primi migranti c’era un’utopia, quella del confederalismo democratico che parlava a un’altra utopia, quella di Tommaso Campanella e Gioacchino da Fiore, e un socialismo libertario, umano, che rifiutava il dogmatismo».

Nelle parole di Mimmo, tutto si tiene. Tutto è cristallino. Ci sono le persone che lo accompagnano ancora oggi, che siano ancora presenti con Alex Zanotelli o Giancarlo Maria Bragantini, o che rimangono fisse nella sua memoria, come Dino Frisullo. Sono passati vent’anni dall’inizio del suo mandato da sindaco, tanti ministri degli Interni, un impegno costante ad aderire ai programmi nazionali d’accoglienza, programmi Sprar, i Cas, e poi ancora programmi speciali come quello per l’accoglienza dei profughi palestinesi durante la guerra in Iraq.

«Siamo passati attraverso ogni capitolo delle politiche emergenziali sull’accoglienza, prima l’emergenza Nord Africa, poi l’emergenza Lampedusa e ancora oggi sulla stessa linea, sempre decreti del ministero degli Interni, mai che si fosse scelto di trattare l’accoglienza come una politica sociale nazionale. In questo Paese dovremmo chiederci se non sia questo il problema. Aver subordinato ogni politica sull’accoglienza alla logica dell’avversione e del contrasto, una scelta ideologica contro le persone. Il Ddl Cutro, gli accordi bilaterali, i lager libici, i progetti di deportazione in Albania, continuano sulla stessa strada. Una strada che ha generato morte e dolore, e non è servita a niente. Ma in tutto questo c’è stata Riace, e per la prima volta, in un villaggio di mille o poco più abitanti, l’accoglienza diventa la soluzione all’abbandono, al declino demografico, al dramma sociale delle nostre comunità. È bastato considerare la bellezza delle persone che arrivavano, e rifiutare la paura».

La destra che conosciamo in Italia, ha lo stesso progetto neocolonialista dovunque la si guardi, qua come in Europa, mossa da una fame di conquista che guarda a Sud, che siano interessi, esseri umani, risorse naturali. Come l’acqua, quella che a Riace è stata riaffermata come bene comune essenziale nello statuto comunale con Lucano sindaco. Un vecchio adagio dice “prendere il potere, per perdere il potere”: cedere sovranità in basso, ribaltare la piramide, ecco la sfida più difficile della politica del nostro tempo. Attorno a Riace, tante ambasciate d’umanità sono nate senza un piano, ma riconoscendosi in una eguale utopia e tu sei diventato cittadino onorario del mondo, proprio quando sembra proprio nel mondo, e in Europa, sembra ce ne sia più che mai bisogno.

«Matteo Salvini è venuto a Riace tre volte. Tre volte per intossicare una storia di emancipazione dall’oppressione e di speranza per costruire un modello umano di accoglienza. Sono totalmente da rifiutare politiche che sono un simbolo dell’arroganza del potere e del cinismo e che rappresentano l’anima selvaggia della destra qua come altrove, che si parli di migranti, o di grandi opere dannose come il Ponte sullo stretto».
«La mia battaglia da militante politico – continua – l’ho condotta da sindaco, e non da sindaco. In questi anni non ci siamo fermati, abbiamo ripreso a mettere fondamenta dove questa destra e non solo la destra, avevano voluto seminare deserto. Per questo, continuare a combattere per Riace non è ambizione politica, ma è il progetto consapevole di chi ha visto l’invasione di una nuova umanità, che non ha portato paura ma rinascita in un piccolo angolo di Europa che era destinato a morire. Questa Europa dove si decide del destino delle nostre comunità ha bisogno che allo stesso modo venga invasa da militanti che condividano una politica fatta di ideali. Zanotelli dice: siamo ciò che incontriamo. In questi anni ho incontrato tante e tanti con cui mi sono sentito di condividere sguardi comuni, e con loro penso ancora che possiamo rincorrere l’impossibile e costruire un mondo migliore. Da te a Garbatella, Amedeo, con compagni come te e Massimiliano Smeriglio che ha tenuto in mano una bandiera di pace in Europa, mentre troppi si sono arresi a logiche di guerra. Correrò alle elezioni europee, lo farò con la mia storia, da indipendente dentro Alleanza Verdi e Sinistra, sempre con la speranza, che non solo potremo costruire una storia di sinistra libera da dogmatismi e personalismi, ma che arriveremo a riunire le tante Riace che ho incontrato in questi anni per abbattere le mura di questa Fortezza Europa che ha fallito».

Sorride per un attimo Mimì, ma gli occhi non sono sereni. Per chi crede in un mondo migliore, un mondo di pace, l’ansia di sfidare ancora una volta lo spirito del tempo e lanciarsi in una nuova battaglia non può godere nemmeno della restituita dignità dopo tanto fango. Il mare è ancora là, con naviganti in cerca di umanità, il frastuono delle bombe troppo vicino, ma possiamo fare ancora la nostra parte. Senza paura.

 

L’autore: Amedeo Ciaccheri è presidente del Municipio VIII di Roma

In foto Mimmo Lucano nella piazzetta di Riace, foto di Carlo Troiano – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71917223