Evasione e corruzione. Due emergenze del Paese. O meglio due elementi strutturali del modo in cui il sistema economico e istituzionale si è sviluppato. Sia chiaro soprattutto, la corruzione è una pandemia che infesta altre democrazie, ma solo in Italia c’è la percezione che il maneggio del denaro pubblico sia intimamente connesso al modo con cui si selezionano le classi dirigenti, si muove la politica, si scelgono dirigenti o usceri di enti e uffici. Quindi chiunque voglia davvero cambiare il Paese deve mettere mano a questa palude e tentare una bonifica.
Renzi lo sa bene, molto più di quanto dica e faccia intendere. È stato un amministratore locale per parecchi anni e l’età anagrafica conta poco rispetto alla dura vita della trincea. Capisce che nessun centro di spesa è fuori da questo meccanismo e la Toscana è stata uno dei laboratori delle più gigantesche evasioni fiscali: dallo scandalo dell’oro aretino alle fabbriche cinesi di Prato. Premessa lunga, ma che spiega perché il premier abbia voluto sul palco della Leopolda lo zar dell’anticorruzione (Raffaele Cantone) e la zarina dell’antievasione (Rossella Orlandi) di fresca nomina. Si vuole dare un segnale e a chi ha criticato, Renzi ha risposto, come suo solito, rilanciando: «Macché, dovrebbero farsi vedere di più, girare» (Otto e mezzo del 27 ottobre).
La questione è delicata. Per anni i magistrati hanno fatto intendere, a fronte di una politica corrotta o rassegnata, che la battaglia per la legalità fosse un’esclusiva della ditta. Ora Renzi, per la prima volta, pone la questione sotto l’ombrello operativo del governo; se ne appropria nella convinzione che sia una “buona battaglia” e che possa portare consenso tra gli elettori. Per farlo ha bisogno di alcuni simboli credibili, così come, in fondo, hanno fatto le toghe negli ultimi venti anni consegnando a pochi il privilegio della cappa e della spada.
Cantone e Orlandi hanno poteri enormi, molto più di quanto si percepisca. Se mettono mano addosso a qualcuno sono in grado di distruggerlo. Soprattutto l’Anticorruzione è uno strumento di controllo del governo, in primo luogo e, a cascata, degli altri enti locali in cui il Pd e i suoi competitor sono presenti. Vedere un magistrato integerrimo salire sul palco della Leopolda è un segnale che giova alla causa del premier, ma che incrina l’idea che la nuova Autorità anticorruzione sia il cane da guardia del governo e della politica in generale. Perché, sia chiaro, la lotta al malaffare esige terzietà e indipendenza, altrimenti viene percepita come un’arma dell’arena politica, un gladio in mano a sicari e né Cantone né la Orlandi lo meritano.