Qualcuno era distratto quando è stato decurtato del 20% il finanziamento agli atenei, e continuava a essere distratto mentre il turn over era strozzato al 20% (fino all’anno scorso). Ora si è svegliato e può osservare i risultati matematici di tale politica: la rottamazione d’intere generazioni. Negli ultimi anni è avvenuto, infatti, un processo di precarizzazione impressionante nell’università: i docenti strutturati sono calati del 20% mentre i diversi contratti a tempo determinato sono raddoppiati, con il risultato che oggi meno del 50% del personale universitario che svolge didattica e ricerca ha contratti a tempo indeterminato. Il problema di oggi è che migliaia di questi giovani ricercatori sono già stati, o sono sul punto di essere espulsi dal sistema nei prossimi mesi, in quanto il loro contratto non può essere rinnovato per limiti di legge e non vi è possibilità di fare dei concorsi per assumerli.
Questo risultato non è casuale, piuttosto è un esempio evidente degli effetti del problema del sub-appalto della politica. “L’epocale riforma Gelmini”, varata dal governo meno interessato alla ricerca e alla cultura dal dopoguerra, è stata scritta, appoggiata e sostenuta dai “poteri forti” del Paese, ovvero Confindustria, con gli organi preposti (Treelle, Fondazione Agnelli, ecc.), che, vedendo nell’università un modo per formare quadri aziendali gratis e per avere un ufficio studi a costo zero, chiede di fornire formazione e ricerca ritagliate sulle esigenze del momento, spesso di corto respiro: sia il centro destra che il Partito democratico hanno delegato in toto a questi soggetti il ruolo di determinare la politica universitaria dalla riforma Gelmini a oggi.
L’opera di smantellamento prosegue dunque senza intoppi, appoggiata dall’indecente teatrino dei soliti editorialisti che spiegano che così s’introduce il merito, che bisogna puntare sull’eccellenza, che finalmente si fa la valutazione, ecc. Di fronte a questo spregiudicato e folle attacco la reazione del mondo universitario è però ben descritta dal grande George Orwell nel suo capolavoro 1984: «Tenerli sotto controllo non era difficile. Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il malcontento (il che, talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi perché privi com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere consapevolezza dei problemi più grandi».