Il problema non è Cofferati dentro o fuori. La credibilità del Pd e della sinistra si deve misurare su ben altro. Deve guardare in faccia il malaffare e dire “Adesso basta”.

Mafia. E’ una parola di cinque lettere con un significato ben preciso in Italia. Le stragi del ’92, le bombe che trasformarono Palermo in una Beirut nostrana, per eliminare i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono immagini a colori, dovrebbero essere ancora nitide nella memoria.

C’è ancora un capo dei capi di Cosa nostra uccel di bosco, Matteo Messina Denaro. La ’ndrangheta calabrese è considerata una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo. La camorra controlla e terrorizza vasti territori non solo in Campania e non solo nella finzione televisiva di Gomorra.

Sembra incredibile che il dibattito politico escluda la parola “mafia” e che la polemica, nel caso delle primarie del Pd per le regionali in Liguria, verta sul fallimento di Sergio Cofferati che non sarebbe capace di accettare la sconfitta subìta contro Raffaella Paita, la candidata dell’apparato, assessore alla Protezione civile rimasta a galla nonostante le devastanti alluvioni che hanno sconvolto Genova soltanto due mesi fa.

Possibile che i vertici del Partito democratico non facciano una piega di fronte all’interessamento della Direzione distrettuale antimafia di Genova? Non lo fanno. Nonostante siano stati allertati da un tesserato democratico per altro, Walter Rapetti, presidente di seggio al quartiere Certosa, soprannominato “piccola Riesi” essendo un’enclave di storica immigrazione siciliana.

La Digos ha chiesto l’elenco dei votanti, si è mosso anche lo Sco dei Carabinieri. Due procure, Genova e Savona, avviano indagini. Insomma, il problema delle primarie liguri non è Cofferati che non accetta il risultato e lascia il partito. Non è il possibile inquinamento del voto da parte dell’elettorato della destra. Non è il massiccio afflusso alle urne di cinesi. Quisquilie. Il problema ancora una volta si chiama mafia. E ancora una volta la politica non scende dal pero, ma ci rimane ben abbarbicata, facendo finta di nulla.

Come è possibile che venga convalidato un risultato, di una consultazione interna al Partito, che anche solo lontanamente possa esser sospettato di interessi mafiosi? Oggi succede. Succede nonostante la procura di Roma abbia appena scoperto l’esistenza di una nuova organizzazione criminale, denominata Mafia Capitale, il cui scandalo già ha mostrato la debolezza della politica, destra soprattutto ma anche sinistra, con arrestati e indagati e il Pd romano commissariato (da un romano, il presidente nazionale Matteo Orfini: quanto meno discutibile la scelta, non per la specchiata onestà dello stesso Orfini ma per motivi di opportunità territoriale).

La rivoluzione del partito liquido di veltroniana memoria, realizzato pienamente dal renzismo rampante, con le sue cene di autofinanziamento da mille euro a commensale, con tutta evidenza non aiuta. La rivoluzione 2.0 ha gettato a mare la struttura del Partito, quella sana che viveva nelle sezioni non sol- tanto cucinando salsicce alle feste dell’Unità. Ha gettato a mare ogni controllo, concedendo praterie al malaffare.

«Le inchieste dimostrano che la corruzione ha raggiunto dimensioni intollerabile anche per il frequente suo intreccio con le organizzazione di tipo mafioso. Questo ha effetti devastanti sul piano economico e per i cittadini». Queste parole sono del guardasigilli Andrea Orlando. Ministro del governo Renzi, importante esponente del Partito democratico. Sul piano teorico belle parole e buone intenzioni non mancano mai. In Liguria il problema a questo punto non è Cofferati sì o Cofferati no, la credibilità del Pd e della sinistra si deve misurare su ben altro. Sulla capacità di guardare le mafie in faccia e dire una volta per tutte: “Adesso basta”.

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