Ogni volta mi chiedo cosa pensano i benpensanti, che poi sono malpensanti perché pensano male. Quelli che non volevano gli immigrati, quelli che dicevano che dovevano stare a casa loro, quelli infastiditi dall’“invasione” quotidiana e da quella solo immaginata nella loro testa.
Ogni volta penso: e ora? Ora, davanti ai morti di freddo ci penseranno a cosa vuol dire morire di freddo? Morire assiderati aspettando di essere salvati. Ma non essere salvati perché si è a qualche miglia più in là del previsto. Del concesso. Sì perché Mare nostrum che costava troppo (così ci diceva questa Europa qui) aveva la funzione di “ricerca e soccorso” e si spingeva sino a 172 miglia a largo. Arrivava, raccoglieva e portava in salvo.
Triton, figlio sempre di quest’Europa qui, ha invece l’obiettivo “di contrastare l’immigrazione irregolare”, di controllare le frontiere. E di proteggere la nostra Fortezza Europa. E non va più in là di 30 miglia. A 31 sei morto. Non sei più affar nostro. “Lasciateli lì” ha detto il peggiore dei benpensanti, Matteo Salvini. C’è stato un mese strano della mia vita, quasi un anno fa, passato in giro per l’Italia centrale a raccontare – tra le cose che ritenevo importanti – di un grande pannello, grande come il Mediterraneo, e di tante lucine che si accendevano ogni volta che in quel mare un’imbarcazione era in pericolo. Una lucina accesa voleva dire partire per cercare e salvare quelli lì fuori. A largo, soli. Immagino che oggi le stesse lucine continuino ad accendersi ma che quello stesso pannello grande come Il Mediterraneo non serva più a nulla. A meno che la distanza non sia quella “giusta” per quest’Europa qui. Vite umane considerate armi da fuoco dalle quali difendere la nostra Fortezza.
Come quando nel XV secolo riempirono le torri medievali facendone dei terrapieni per resistere alla polvere da sparo dei nuovi cannoni, oggi sbarrano le frontiere per resistere a uomini, donne e bambini che fuggono in massa da guerre e arrivano da noi frettolosi e disperati. Questa “Europa qui” è la stessa che non vuole concedere tempo, non denaro, alla Grecia per salvarsi. Ed è la stessa che ha calcolato il risparmio se invece di spingersi fino a 172 miglia per soccorrere qualcuno ci si ferma a 30 per proteggere se stessi. Quest’Europa qui calcola il risparmio e il guadagno. «Alla “colpa” di essere ebrei o zingari abbiamo sostituito quella di essere nati in Paesi resi invivibili. Ma poco per volta, ci abituiamo a tutto. Sembra che si parli di denaro. Invece si parla di sterminio», così scriveva qualche giorno fa Guido Viale su il Manifesto. Questo è il problema: «Sembra si parli di denaro, invece si parla di sterminio».
Ecco, Left è il luogo dove non ci si abitua. E non ci si abituerà mai a quel “mal” pensare. Perché quel pensare, come vi racconteranno due giovani giornalisti (Veronica e Giacomo) che firmano l’inchiesta di apertura, produce numeri, sbarre, farmaci, sofferenza, contenzione, abbandono. Trasforma centri di identificazione in veri carceri occupati a “contenere” (anche farmacologicamente) chi, per sua sfortuna, vi capita. Sulle pagine di Left, anche questa settimana come le prossime, troverete tutto quello che abbiamo in corpo.
Di alcune cose imperdibili di questo numero voglio dirvi qui: del primo (di molti) lungo editoriale di Emanuele Ferragina, del primo “monologo di carta” (di molti) di Giulio Cavalli e Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, e di Sunjay Gookooluk. Giovane mauritiano recluso nel Cie di Ponte Galeria e autore di un magnifico diario di cui pubblichiamo alcuni stralci, come questo: «Non siamo extraterrestri, siamo umani. C’è chi scappa da una guerra, chi si vende tutto per andarsene dalla miseria, dai disastri naturali. Chi ha il potere, chiudesse tutti questi centri […] Ora sono le 22.30 e il carrello della terapia ha appena finito il suo giro. Oggi soffrirò le sbarre, la fame e anche l’insonnia visto che ho rifiutato tutti gli psicofarmaci. So solo che sono un artista, quello vorrei fare nella vita».
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