Diffido dei romanzi che nascono non dall’esperienza ma da una bibliografia, come il Nome della Rosa di Eco, che soddisfava l’inestinguibile “bisogno di università” della middle class alfabetizzata del pianeta. Ma in questa tipologia non rientra affatto Come donna innamorata (Giunti) di Marco Santagata, romanziere e docente universitario, perché è fatto di una materia palpitante, tutt’altro che libresca, e perché è anche un saggio su Dante in forma di avvincente narrazione pop (accanto al rapimento in cielo ci sono scenette da sit-comedy con la moglie Gemma).
Seguiamo qui la genesi dell’idea del poema divino, unica roccaforte e consolazione entro una biografia segnata da delusioni e catastrofi. E resta giustamente sospesa la questione se Dante fosse più un mistico o più un geniale retore illusionista, se la sua “visione” fosse più una invenzione poetica o più una reale esperienza.
Cuore del libro è però la parte seconda, “Guido”, dedicata alla complicata amicizia di Dante con il più anziano Cavalcanti e poi alla rottura drammatica, al sarcasmo risentito di Guido dopo la pubblicazione della Vita nova, al suo disprezzo per la carriera politica di Dante, alle umiliazioni e al proposito di vendetta di quest’ultimo. Ma qui avviene un miracolo laico. Per illustrarlo mi affido a un’osservazione di Pasolini sulla Lettera a una professoressa di don Milani.
Pasolini spiegò in un’intervista che in quel libro c’è una delle più belle definizioni di cosa dovrebbe essere la poesia: un odio, un moto di vendetta verso gli altri che una volta approfondito e liberato diventa amore. Ecco, questo è successo a Dante, che – come ci mostra Santagata – nel Paradiso sceglie come mediatore (e Battista) tra lui e Beatrice una donna – Matelda – calco trasparente dell’amata di Guido. Questi aveva scritto che “cantava come fosse “namorata”, e così la Matelda dantesca modula i salmi «cantando come donna innamorata». L’odio che si trasforma alchemicamente in amore. Ecco l’essenza della poesia.