Quando i dirigenti del Milan, nel ritiro svizzero dell’Uruguay ai Mondiali del ’54, ottennero il passaggio in rossonero di Juan Alberto Schiaffino detto el Pepe, la rivista ufficiale del Penarol di Montevideo titolò: “Il dio del pallone se n’è andato. Una perdita irreparabile”. Evidentemente qualcuno, in patria, lo considerava al capolinea con 29 primavere da compiere in luglio e senza speranze di una seconda gioventù milanese coronata da tre scudetti in sei anni e una coppa Campioni persa all’ultimo sangue contro il Real Madrid dell’argentino Di Stefano.
E pensare che l’Uruguay era campione del mondo in carica grazie al leggendario 1-2 in rimonta in casa del Brasile, al Maracanà, con reti proprio del grande Schiaffino e del piccolo Ghiggia, l’ala destra capace di saltare qualsiasi terzino e che, trasferitosi alla Roma, non poteva essere più convocato dal mister Fontana.
Favorita è l’Ungheria di Puskas, la squadra apparentemente imbatti-bile e di fatto imbattuta da tre anni. Il capitano della Celeste è sempre lui: Obdulio Varela, il vecchio libero che contende al Pepe stesso le chiavi del gioco e dello spogliatoio. Ma El Pepe è uno che fa di testa sua, come ha sempre fatto fin da ragazzino quando giocava sulla spiaggia di Pocitos e nascondeva la palla anche a quelli più grandi. Suo fratello maggiore, Raùl, era già il centravanti titolare del Penarol finché un giorno, durante una selezione, gli osservatori del club si accorsero che quello più forte era lo Schiaffino più piccolo. E non se lo fecero scappare. La classe del diciottenne era immensa, tipica del barrio Pocitos che, all’inizio del secolo, aveva sfornato il talento unico del Gran maestro Josè Antonio Piendibene: il primo fuoriclasse giallonero. E proprio per questo il Pepe era chiamato talvolta il Piccolo maestro.
La Celeste debutta a Berna il 16 giugno contro la Cecoslovacchia: 2-0 firmato Miguèz e Schiaffino. Tre giorni dopo, a Basilea, 7-0 alla Scozia. Il Pepe resta a secco ma è sempre il faro del gioco. Passa una settimana e si gioca ancora a Basilea: quarto jet di finale contro l’Inghilterra, chi perde è fuori. Bòrges porta in vantaggio l’Uruguay, Lofthouse pareggia e Varela riporta avanti i suoi prima dell’intervallo. Finirà 4-2 con il Pepe che marca il terzo gol. In semifinale, ecco l’Ungheria di Puskas senza Puskas. Il più forte d’Europa ha la caviglia ancora gonfia: frutto di una rappresaglia dei tedeschi dopo l’umiliante 8-3 di dieci giorni prima. A Losanna, 45.000 spettatori assistono a uno dei match più belli della storia del calcio, sia per lo spettacolo che per l’intensità di gioco. Ungheresi in gol con il sinistro di Czibor nel primo tempo e con un tuffo di Hidegkuti nella ripresa. Nei dieci minuti finali, Juan Hohberg, sempre servito da Schiaffino, suo compagno nel Penarol, prima accorcia le distanze di precisione e poi pareggia di prepotenza. Ai supplementari, tuttavia, Sandor Kocsis svetta due volte più alto dei mastini uruguagi orfani dell’infortunato Varela: 4-2.
L’Ungheria lascerà la coppa ai tedeschi imbottiti delle stesse anfetamine in dotazione ai fanti della Wermacht e la Celeste, demotivata, perderà la finale di consolazione contro l’Austria. È l’ultima partita dell’immenso Juan Alberto Schiaffino, detto el Pepe, con la maglia della Nazionale del suo Paese: il piccolo Uruguay due volte campione del mondo.
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