Dove si è andato a nascondere il pensiero critico del nostro tempo? Nei discorsi dei leader di sinistra? Nel giornalismo d’assalto? Nei documenti dei no global? Certo, anche un po’ anche in tutto questo, però lo ritroviamo imprevedibilmente anche nella letteratura, e ad esempio in questo romanzo di idee e di avventura, La mappa di Vittorio Giacopini (Il Saggiatore).
La geografia ha due anime: da una parte l’egiziano Tolomeo (inventore della cartografia) e dall’altra lo stoico Strabone, che critica la cartografia, la riduzione del mondo a una mappa. E oggi vince Strabone perché internet e la globalizzazione ci costringono a pensare il mondo come rete, circolarità, relazione. Così il geografo Franco Farinelli: «Se la Terra è una tavola, le cose che oltrepassiamo rimarranno dietro di noi per sempre. Se invece ci muoviamo sulla superficie di una sfera, allora tutte le cose che credevamo superate, prima o poi, ritorneranno fatalmente di fronte a noi».
Il protagonista della Mappa è un cartografo, Serge Victor, figlio dei lumi, impegnato a riprodurre nel disegno geografico le fogge difformi della realtà, a «organizzare qualsiasi cosa». Certo, intende dominare il mondo senza violenza e dall’alto, «a distanza selenita», ma come tutti i cartografi anche lui va appresso agli eserciti e qui lo troviamo al fianco di Napoleone nella campagna d’Italia.
Bene, da quel momento a Victor, che si innamora a Milano di una stregante zingara, non gliene va bene una. Lungi dal controllare la realtà la subisce rovinosamente. Lo ritroviamo senza una gamba, con le stampelle, in una Parigi occupata, abbandonato da tutti, intento a decorare con i luoghi geografici zuppiere e servizi da tè, a imbalsamare la storia su superfici di smalto.
L’apologo filosofico si dispiega attraverso il piacere della narrazione, quasi da romanzo d’appendice. La ragione (cartografica) dovrà rinunciare alle sue pretese, e la politica dovrà abbandonare il sogno napoleonico di riplasmare l’intera realtà.