Esci da casa, calpesta ancora una volta la sabbia a piedi nudi, goditi un'altra passeggiata sotto il sole. Entra in un commissariato, siedi e limitati a formulare questa frase: "Sono Matteo Messina Denaro".

Caro Matteo, arrenditi. Cosa nostra ha perso. Il concetto di mafia ha perso. Lo dimostrano gli esiti di inchieste come “Minotauro” (‘ndrangheta in Piemonte), gli arresti di Mafia capitale a Roma, siete una cultura malata in difficoltà, alle corde.

Lo dimostreranno le migliaia di persone che sabato prossimo, 21 marzo, da tutta Italia, raggiungeranno Bologna per la giornata della memoria delle vittime innocenti delle mafie, organizzata dalla rete di Libera.

Presto, caro Matteo, anche tu, ultimo capo dei capi in circolazione, raggiungerai gli altri tuoi colleghi nelle patrie galere, al 41 bis, il regime carcerario più duro, quello che quasi non ti permette di respirare, che ti annienta il cervello nel silenzio del nulla. Una condizione tremenda, inumana, ma l’unica possibile per quelli come te. La tua latitanza, 21 anni in fuga dallo Stato e dalla giustizia, è destinata a finire.

Non puoi farla franca in eterno. Adesso c’è anche un tuo parente, Giuseppe Cimarosa, cugino di secondo grado, che prende le distanze dalla vostra famiglia. Registriamo la cosa, diffidenti e guardinghi, ma speranzosi di non dover avere a che fare con un altro caso Ciancimino padre (don Vito) e figlio (Massimo).

È passata, invece, abbastanza inosservata nei giorni scorsi l’intercettazione ambientale, registrata a fine 2013, di un altro tuo parente, Luca Bellomo, ora agli arresti. «Lo zio si è fatto rifare tutte cose in Thailandia». A intendere che il tuo volto ha preso altre sembianze, che è impossibile riconoscerti ormai per quello Stato che t’insegue disperatamente ma non troppo forse. Ma che tu stia passeggiando sotto il bel sole della Sicilia, per le strade di Trapani, della tua Castelvetrano, o lungo la spiaggia di Tre Fontane, Campobello di Marsala, vicino ai sette vani di villa dove avresti trovato rifugio per qualche tempo, nonostante questo volto rifatto, qualcuno prima o poi ti verrà a prendere.

Non ti potrai nascondere dietro i Ray ban d’ordinanza, quelli sfoggiati nelle poche foto-identikit che girano da anni per redazioni e commissariati. Stragi, bambini ammazzati, donne strangolate, quanti sono gli omicidi che pendono sulla tua testa? Come puoi dormire la notte con questi fantasmi, sicuro di aver fatto sempre la cosa giusta, la Cosa nostra? Tu, che tra i boss ti sei voluto distinguere, hai voluto studiare, ergerti da quelle condizioni di contadini sanguinari che ben raffigurano Totà Riina o Bernardo Provenzano, loro sì al 41 bis da anni ormai e in precarie, così ci dicono, condizioni di salute, tra le carceri di Parma e Opera.

Tu che hai voluto costruirti l’immagine del campione della mafia colto, colletto bianco, capace di fare affari miliardari in giro per il mondo come un grande manager, sai che la giustizia arriva, bussa alla porta e non può darti scampo.

Il tempo stringe, le lancette dell’orologio corrono veloci verso la tua cattura. Fai un bel gesto Matteo, sorprendi tutti, ancora una volta. Consegnati. Con la tua bella faccia, ancora siciliana o thailandese che sia, orgogliosa e senza traccia di pentimento nello sguardo. Non è il pentimento che ti chiediamo, esigiamo soltanto un po’ di giustizia. Il falso mito della tua latitanza deve potersi concludere nel modo meno leggendario possibile.

Perché non meriti affatto leggenda, Cosa nostra è un fenomeno umano, come tutti i fenomeni umani destinato ad avere un inizio e una fine. Ricordi queste parole del giudice Giovanni Falcone? Considerale bene, rifletti sulla loro importanza. Esci da casa, calpesta ancora una volta la sabbia a piedi nudi, goditi un’altra passeggiata sotto il sole. Entra in un commissariato, siedi e limitati a formulare questa frase: “Sono Matteo Messina Denaro”.

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