«Ogni individuo si muove, pensa, domanda, dubita, indaga, vuole sapere; e se è vero che, forzato dall’abitudine ad adattarsi, finisce prima o poi per dare l’impressione di essere sottomesso alla visione dominante, non si deve credere che questa sottomissione sia definitiva». Lo scriveva non molto tempo fa un giovane professore italiano a Oxford (ora a Parigi), Emanuele Ferragina, oggi coautore della nostra storia di copertina, nel suo libro La maggioranza invisibile.
«Noi non ci stiamo. Vogliamo provare a cambiare. Vogliamo ascoltare tutti e proporre una sintesi diversa ». Lo diceva qualche giorno fa il meno giovane segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, lanciando una nuova “coalizione sociale”: «Dobbiamo riconoscere i nostri ritardi e i nostri errori, riunificare il lavoro e allargare la rappresentanza», così ha detto. Lavoro e lavoratori per il sindacalista, la maggioranza del Paese fatta di uomini e donne, resi invisibili da una politica che ha scelto di essere cieca, per il giovane professore di Oxford.
Distanti storicamente e culturalmente, i due in questi giorni, per uno strano caso o forse no, sembrano quasi parlare la stessa lingua. Diritti universali, la garanzia di un reddito minimo, una nuova visione del mondo del lavoro. «Un lavoro che non deve per forza accrescere il Pil, ma deve contribuire all’accumulazione sociale di ricchezza», come scrive Ferragina. «Un lavoro con i diritti. E un reddito minimo garantito che permetta di sottrarsi alla ricattabilità e alla precarietà. Che permetta di scegliere», chiosa Landini.
C’è un «gigante bambino», come chiama il giovane professore la sua “maggioranza di Paese” invisibile perché annullata da una politica che ha scelto di chiudere gli occhi, e non rappresentata da un sindacato rimasto vecchio, che aspetta di essere visto e rappresentato. «Il mondo ci è cambiato sotto i piedi e noi continuiamo a guardarlo con lenti vecchie. La nostra società è – continua a essere – preda di un’enorme miopia». Donne e uomini. Disoccupati, Neet, pensionati meno abbienti, migranti e precari. Ignorare questa realtà sociale genera iniquità e «significa scegliere la cecità», il professore insiste. Il sindacalista, a distanza, prova a rispondere, rompe il fronte disperso e rinunciatario di una sinistra che non c’è e che pensa di non potere più nulla contro il nuovo Cesare Renzi.
Landini chiama tutti in piazza perché ci sono da fare delle battaglie insieme: il referendum sul Jobs act, la rivendicazione del salario minimo, la patrimoniale sui grandi patrimoni, la lotta all’evasione fiscale e l’abbassamento drastico dell’età pensionabile. Questa è la base sulla quale vuole unire la sua maggioranza “visibile”. Unions!, così chiama la prima piazza della sua coalizione sociale. Usa una parola straniera che richiama le origini del movimento operaio e sindacale quando, tanti anni fa, per conquistare libertà e diritti, donne e uomini si coalizzarono.
Lo incalza a distanza il giovane professore: «Ostinati e contrari all’ideologia dominante», alle “rivoluzioni passive”, ai partiti pigliatutto, ai novelli Cesare, c’è da riumanizzare lo spazio sociale «sulla base di un proposito onesto». E sembra suggerirgli: «Occorre promuovere l’agenda dell’uguaglianza efficiente. Primo tassello di un’ambiziosa piattaforma politica di lungo periodo: migliori servizi, maggiori investimenti nell’università e nel capitale umano, un welfare state universale». Perché «il cambiamento che vogliamo, in realtà è lì, basta inseguirlo collettivamente. Ma per farlo bisogna tornare ad avere il coraggio di contemplare quell’idea di cambiamento, rimirarla, concepirla insieme come un obiettivo possibile. Un obiettivo non utopico». «Applicando l’analisi all’idealismo» c’è da guardare la realtà con occhi diversi per ricostruire «una nuova visione del mondo». Si prega di aprire gli occhi, aggiungiamo noi.
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