Il recente decreto ministeriale sul teatro sembra riorganizzare il sistema spostando gli enti da una casella all’altra (teatri nazionali, teatri di rilevante interesse culturale ecc.), senza affrontare veramente nessun nodo, a partire dalla scarsità di fondi per un settore, importante per la vita culturale, sempre sul punto di implodere.
Non giovano alla situazione operazioni come quella della Gatta sul tetto che scotta, compiuta dalla Fondazione Teatro della Pergola, di recente assurta a teatro nazionale. Il testo del 1955 di Tennessee Williams, uno spaccato di ferocie personali e familiari nell’America del grande sogno post-bellico, è stato allestito con gli Ipocriti (sussidiarietà pubblico-privato?) scegliendo un volto televisivo come Vittoria Puccini per il ruolo di Maggie, interpretato da Liz Taylor nel film del 1958.
La regia è stata affidata ad Arturo Cirillo, artista impegnato da anni in un lavoro tra tradizione e innovazione e nella costruzione di una compagnia di attori-autore di notevole presenza e inventiva scenica che una volta si sarebbe detta «di complesso» (dai begli affondi su Molière ma anche su Ruccello e su autori del novecento sono emersi nomi carisma- tici come Monica Piseddu). In questo spettacolo (visto al Duse di Bologna) Cirillo costruisce il cast intorno alla protagonista, affidando il ruolo di Brick, il marito alcolizzato, a un tormentato Vinicio Marchiori, quello del padre a un perentorio Paolo Musio, circondandoli di bravi comprimari.
In una stanza da letto dai colori carichi che in certi momenti si apre su una macchia di verde selvaggio, calca i toni sulla rivelazione delle falsità, delle ipocrisie, delle avidità che governano i rapporti parentali. Quello che non funziona è Vittoria Puccini, che sembra compitare, con voce affaticata, una parte senza vita, mandata rigidamente a memoria. Il fatto che su di lei si incentri quasi tutta la prima ora di spettacolo sposta anche il seguito più sul melodramma che sull’epifania espressionista.
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