Vitali Daraselia viene alla luce nell’odierna Repubblica di Abkhazia in un’epoca in cui Ochamchira, città sul Mar Nero, è semplicemente Georgia sovietica. Anche il terribile Beria, capo della polizia segreta di Stalin, era nato in Abkhazia ma poiché appartenente all’etnia minoritaria favorì la colonizzazione georgiana della regione e la persecuzione della lingua locale.
Daraselia nasce da madre abcasa e da padre georgiano il 9 ottobre del ’57 quando al Cremlino sembra tirare aria nuova. Talmente nuova che la Propaganda, dopo il successo del primo Sputnik, si appresta a replicare lanciando in orbita la cagnolina Laika. Il Pcus intanto ha due spauracchi: Il dottor Zivago di Pasternak e il talento di Eduard Streltsov il cui crescente successo, soprattutto nel pubblico femminile, comincia ad irritare i vertici della Federcalcio di Mosca.
Daraselia impara a giocare nella squadra della sua città finché, a 17 anni, viene arruolato dalla Dinamo Tbilisi: l’unico club del Caucaso in grado di competere con le formazioni russe e ucraine. Il ragazzo è un vero fenomeno, soprattutto quando parte in velocità con la palla tra i piedi: rapido ed esplosivo al punto da non far mai capire a nessuno se sia un destrorso oppure un mancino. E l’Europa intera se ne accorge a Dusseldorf, nel 1981, a tre minuti dal termine della finale di coppa delle Coppe tra la Dinamo e i tedeschi orientali del Carl Zeiss Jena con il risultato fermo sull’1-1.
David Kipiani, il numero 10, il professore, è sulla metà campo fronteggiato da Topfer. Si gira, porta a spasso l’avversario, alza la testa e serve d’esterno proprio Daraselia. Il numero 6 in maglia blu scatta sul fronte sinistro e copre la palla inseguito da Lindemann. Dopodiché sfodera un cambio di marcia da campione: punta il vertice dell’area, accelera, sterza verso il centro, tocca due volte di destro ed evita l’intervento disperato del numero 8 in maglia bianca ormai a gambe all’aria. Lo spazio intanto si stringe, la difesa si contrae a semicerchio come una medusa pronta a lasciare il piccolo pesciolino blu in pasto allo stopper Lothar Kurbjuweit che, in veste di murena, schizza in avanti per azzannare sia il pallone che le caviglie del nemico. Ma la stella d’Abkhazia gira ancora la pinna come un timone: inchioda, fa perno sul destro, accarezza la perla bianca verso fuori e manda a vuoto le squame di Kurbjuweit che spariscono dal teleschermo slittando sul fianco. Prima che gli ultimi pescecani possano addentarlo, Daraselia infila di sinistro lo spazio impossibile tra il palo e il portiere Grapenthin. È il gol del 2-1 che vale lo stesso trofeo europeo conquistato a suo tempo dalla Dinamo Kiev di Oleg Blochin.
Dopo due coppe dell’Urss e il campionato del ’78, arriva l’ultimo trionfo per la stella tramontata a soli 25 anni per un maledetto incidente d’auto. Il suo nome vive nello stadio di Ochamchira e vive addosso a suo figlio, nato nel settembre dello stesso 1978 all’indomani del match di ritorno del primo turno di coppa Uefa contro il Napoli. Alla vigilia della gara, Daraselia promise ai compagni: «Darò a mio figlio il nome di chi oggi segna per primo». E a segnare fu proprio lui, d’esterno destro in corsa davanti al pubblico del San Paolo. Sempre vicino al mare.