Contro il ddl Buona scuola, trenta associazioni di docenti, studenti e operatori rivolgono un appello al Parlamento. Ma senza proteste unitarie.

Dopo la bocciatura del documento sulla cosiddetta “Buona scuola” e del ddl che ne è scaturito da parte dei collegi dei docenti in ogni parte d’Italia, prende corpo l’opposizione al ricatto del governo che vorrebbe imporre la sua linea sfruttando l’assunzione dei precari, già intimata dalla Corte di giustizia europea.

Mentre proseguono le proteste nelle scuole, con gli insegnanti che si vestono a lutto, trenta associazioni – professionali, sindacali, studentesche e sociali – hanno rivolto un appello al parlamento perché il ddl sia modificato. Si sono unite, nonostante la diversità di vedute, per avanzare cinque proposte:

  1. Potenziare gli organici, attraverso un adeguato finanziamento, per ridurre le disuguaglianze tra scuole imputabili al diverso contesto socioeconomico di riferimento;
  2. Salvaguardare lo stile di lavoro cooperativo all’interno degli istituti, minacciato dalla gerarchizzazione forzatamente introdotta con il preside-sindaco;
  3. Distribuire tante risorse alla scuola quante ne servono per riallinearle con la media europea;
  4. Orientare il rapporto scuola-lavoro verso il potenziamento del percorso educativo e concrete opportunità occupazionali;
  5. Stralciare gli articoli relativi alla stabilizzazione dei precari e ricondurre al dibattito parlamentare temi cruciali, come il diritto allo studio, la revisione degli organi collegiali e del testo unico sulla scuola, che sono stati delegati all’intervento del governo (in tutto sono addirittura 17 le deleghe in bianco).

In commissione, i parlamentari di Sel, del Gruppo Misto e del M5s sono riusciti ad ottenere che il testo della Legge di iniziativa popolare sulla scuola fosse inserito nella discussione sul ddl del governo. L’Unione degli  studenti ha dato impulso alla nascita di un Coordinamento nazionale per la scuola pubblica che chiede lo stralcio della parte riguardante le assunzioni dei precari, lo stop del ddl e l’inizio di una discussione veramente democratica sulla riforma della scuola, un impegno produttivo per una scuola pubblica e di qualità, la tutela del diritto allo studio, il rafforzamento degli organi collegiali, il recupero della dignità professionale dei docenti, l’abbandono di una politica scolastica che vuole rendere l’istruzione subalterna alle logiche del mercato.

Anche se hanno sottoscritto l’appello al parlamento, i sindacati di categoria, si sono segnalati, perfino stavolta, per mancanza di tempestività e di coesione. I Confederali, con Gilda e Snals, hanno indetto una manifestazione per il 18 aprile. Hanno pure escogitato un’astensione da tutte le prestazioni aggiuntive, dal 9 al 18 aprile, tanto cervellotica (come testimonia la diffusione di un allegato pieno di istruzioni sulle attività coinvolte e sulle ritenute spettanti) quanto inutile (chi se ne accorgerà?).

Invece i sindacati di base si sono accordati per uno sciopero e una manifestazione il 24 aprile. Si segnalano gli interventi sui social di Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, secondo il quale gli albi regionali dei docenti si configurano come liste di proscrizione e i superpoteri ai presidi cancellerebbero l’art. 33 della Costituzione, posto a garanzia della libertà di insegnamento.