Botho Strauss in Der Park chiede di immaginarsi una civiltà laboriosa allontanatasi dal sacro e dalla poesia. Nella sua rivisitazione del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, in scena con la regia di Peter Stein all’Argentina di Roma fino al 31 maggio (nella prossima stagione al Piccolo di Milano), siamo precipitati tra i rifiuti di un parco berlinese anni Ottanta e un sipario teatrale.
Un cespuglio selvatico è sempre presente nella scena mutevole di Ferdinad Woegerbauer: da quello sbucano Oberon e Titania, trasformati in viandanti che cercano di risvegliare il desiderio erotico in persone di oggi appannate in vite grigie, razzismi, identificazioni con piccole patrie, esperte solo di interessi, incapaci di amore. Un’umanità rassegnata, nella quale il folletto Puck è un vecchio scultore di oggetti che dovrebbero eccitare i sensi, a metà tra talismani e patacche kitsch.
Le follie del bosco magico stanno già nei personaggi: i tradimenti, le confusioni, i rimpianti, la rabbia di giovani senza domani. Il testo, scritto per la mitica Schaubühne di Stein nel 1983, allora interpretato da Bruno Ganz e Jutta Lampe, pur con qualche lungaggine serba una vitalità caleidoscopica, tra l’emblematica acrobata slogata caduta dal trapezio dell’inizio, l’Oberon ridotto a uomo comune afono della fine, il Minotauro bravo figlio di famiglia, frutto degli amori di Titania-Pasifae con un toro, rammaricato per la scarsa partecipazione all’anniversario della mamma.
Incombono il nazismo, il massacro del vecchio Puck omosessuale nel parco, la morte, sporcizia e grettezza, materia ruvida che si incrocia con tentativi (rovinosi) di svettare ancora nell’immaginazione. Fenomenale, lancinante e grottesca, Maddalena Crippa, accompagnata dall’Oberon dimesso (come da copione) di Paolo Graziosi, da Mauro Avogadro, Pia Lanciotti, Graziano Piazza e altri tredici interpreti in incalzante straniamento solo a tratti su toni accademici, in una regia penetrante nel contemporaneo crollo dei sogni.
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