Se in Sicilia si andasse a votare in autunno, gli elettori archivierebbero “la rivoluzione” che Crocetta si vanta di aver portato nell’isola e punirebbero il Pd. E ancora: Sono troppi i resti politici dell’era Lombardo e Cuffaro che si stanno riciclando con Crocetta o con il Pd. Corradino Mineo spiega cosa sta accadendo in Sicilia.

«Se sia più nobile soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine», si chiede il giovane Amleto. È probabile che se in Sicilia si andasse a votare in autunno, gli elettori archivierebbero “la rivoluzione” che Crocetta si vanta di aver portato nell’isola e punirebbero il Pd, per tre anni il nemico interno del presidente, adducendo ragioni di potere senza una proposta alternativa. Così Crocetta chiede un’ultima chance, prima di dimettersi. Vuole il tempo per approvare la riforma delle Province, una per l’acqua pubblica e una terza «in favore dei poveri». Per non dover uscire di scena subissato dai fischi e portandosi dietro il fango di quella telefonata (in cui l’amico medico Tutino auspicherebbe per Lucia Borsellino la stessa fine del padre), che il presidente considera una bufala, un’odiosa “macchinazione” ai suoi danni. Renzi sarebbe d’accordo: si voti pure in Sicilia e a Roma, ma in primavera, quando la sinistra Pd sarà stata archiviata e sarà pronto per il tagliando elettorale – grazie alla promessa di tagliare le tasse – un nuovo soggetto “vincente”: il Partito della Nazione.

«La coscienza ci rende tutti codardi», diceva Amleto, ed è probabile che i sondaggi abbiano ragione quando prevedono che, se si votasse a ottobre, vincerebbe M5s. Tuttavia in Sicilia si sta giocando qual- cosa di più importante del risultato di una elezione. Sono in questione l’onore, la credibilità e lo stesso futuro di quelle forze – ce ne sono – che la lotta alla mafia vogliono farla davvero. È in gioco la memoria degli “eroi” – da Borsellino a Impastato – che avrebbero preferito, loro, cambiare le cose piuttosto che morire “martiri”, e subire, a ogni commemorazione, l’insulto dei sepolcri imbiancati che li impietrisco- no con la retorica. È in gioco l’anima della Sicilia, perché lì con tutto si può giocare tranne che con la mafia e l’antimafia. 

All’inizio Crocetta aveva suscitato speranze e azzeccato qualche iniziativa. Le speranze, per la verità, venivano risposte più nella sua stessa persona, sta- rei per dire nel suo corpo – così come era la presenza fisica del re che guariva le malattie. Il primo presi- dente operaio, omosessuale, comunista, sindaco antimafia, che promette una rivoluzione. Tocchiamolo, a costo di soffrire i suoi ritardi, subire monologhi infiniti, sorridere per battute talvolta oscure: ci guarirà! Tra le scelte condivisibili, la sostituzione di funzionari inefficaci, il licenziamento di giornalisti in eccesso, la battaglia contro la pastetta della formazione regionale.

Poi la spinta rivoluzionaria si è via via appannata, mentre si sviluppava una diuturna, fastidiosa e incomprensibile bagarre politico-mediatica tra presidente e Pd siciliano. Oggi il tempo di Crocetta, purtroppo, è scaduto perché la Sicilia annega nel debito e di fatto è commissariata dal governo di Roma, perché la gestione amministrativa è stata confusa e contraddittoria, ma soprattutto perché la rivoluzione comincia a puzzare di restaurazione. È evidente la crisi di Sicindustria, storico sostegno del presidente, sospettata ora di aver usato il bollino antimafia per favorire qualche amico e fare affari di vecchio stampo. Sono troppi i resti politici dell’era Lombardo e Cuffaro che si stanno riciclando con Crocetta o con il Pd. C’è un presidente, circondato di una corte dei miracoli maleodorante che – lo dimostra il caso Borsellino – sembra impastata con una cultura del potere che in Sicilia si esprime come cultura mafiosa.

È ora di tagliare il nodo gordiano e bene ha fatto Fabrizio Ferrandelli che si è già dimesso da parlamentare siciliano e ha chiesto – se ben capisco – l’azzeramento del gruppo dirigente e parlamentare del Pd. Ma ci vuole anche altro: un’iniziativa trasversale, e dal basso, per salvare la Sicilia e quel che resta dell’autonomia. 

Lanciare un appello agli onesti e ai giusti, costruire in ogni città e in ogni ateneo comitati di salute pubblica contro la borghesia parassitaria e intermedia- ria che è la spina dorsale della mafia. E contro la cultura mafiosa, quella per intenderci del “calati junco ca passa a china” (piegati, lascia passare la piena del fiume). Senza fare sconti alla sinistra che ha fallito la sua occasione, mettendo alla prova i 5 Stelle, sfidando la destra a rompere ogni contiguità con lobby e gruppi di potere in odore di zolfo. Una politica per i siciliani, dunque, non quella mediocre pratica del posizionamento, che si propone di apparire e non di essere, di arraffare il potere e mantenerlo a lungo, galleggiando.

 

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