Due concezioni delle relazioni internazionali, due visioni del mondo, condite da retorica diversa e interessi spesso contrastanti. Sebbene con i toni alti, come si conviene all’Assemblea generale dell’Onu, i discorsi di Putin e Obama, che poi hanno discusso in maniera più diretta e franca nell’incontro bilaterale che hanno avuto a partire dalle 11.30 ora italiana, non avrebbero potuto essere più diversi. Il braccio di ferro è su Ucraina e, soprattutto, Siria. A fine incontro è chiaro che le posizioni sono distanti, ma con ogni probabilità si andrà a un maggior coordinamento delle azioni militari e delle missioni aeree anti Isis. L’Occidente mette meno l’accento sulla questione Assad, la priorità, il nemico pericoloso e in espansione oggi è l’ISIS.
Da un lato il presidente Usa è tornato sull’importanza del multilateralismo, su alcuni valori che – pur ammettendo tutte le differenze culturali e storiche possibili – sono il cuore della missione delle Nazioni Unite. Che gli Stati Uniti intendono difendere con più diplomazia possibile – il presidente Usa cita Iran e Cuba. Ci sono invece coloro che credono che gli obbiettivi del multilateralismo Onu siano finiti, «che il potere sia un gioco a somma zero nel quale i più potenti impongono l’ordine con la forza» ha detto Obama alludendo alla Russia – che in questi mesi all’Onu ha molto usato il suo potere in Consiglio di sicurezza. Critiche a Mosca anche per la vicenda Ucraina, gestita a colpi di unilateralità.
Diverso il tono del suo omologo russo che ha fatto leva sulla storia recente – l’ordine mondiale unipolare scaturito dopo la fine della guerra fredda (“siamo tornati” sembra voler dire) e scherzato sulla primavera araba che gli Stati Uniti di Obama hanno incoraggiato.
«La gente cercava il cambiamento, ma in cosa si è trasformato? Un’eccessiva interferenza internazionale ha distrutto le istituzioni nazionali e invece di democrazia e progresso abbiamo violenze, povertà e disastri» e nessuno chiederà il conto per quelle politiche internazionali basate sulla supponenza e sulla convinzione nella propria eccezionalità, dice Putin. Da quei disastri (la Libia e la Siria e in parte l’Iraq) sono cresciute zone di anarchia dove si è infiltrato il terrorismo. Contro questo, Putin chiede la formazione di una coalizione anti-terrore simile, nello spirito, a quella che sconfisse il nazismo. Contro il male assoluto non ci si può girare dall’altra parte – come fanno gli Usa, è il sottinteso – e non si può non offrire un posto in questa coalizione al legittimo governo siriano. Quello di Bashar al Assad. Che poi, come ha detto il presidente russo in un’intervista Tv a 60 minutes, trasmissione informativa di punta di CBS, la storia delle armi chimiche è propaganda orchestrata dall’opposizione al dittatore.
Di tutt’altro avviso Obama, che ritiene che il dittatore siriano debba uscire di scena. Il presidente Usa ha detto di non cercare una nuova Guerra fredda, di essere pronto a collaborare. Ma riguardo ad Assad ha detto: quando un dittatore massacra decine di migliaia di suoi cittadini non è una questione interna. E lo stesso quando un gruppo terroristico decapita i suoi prigionieri. Con l’IS gli Stati Uniti non trattano. Ma se la forza militare è necessaria, questa non basta: serve un accordo vero. «Siamo pronti a lavorare con chiunque, compresi Russia e Iran (altro amico di Assad). Ma dopo tanti massacri non si può tornare allo status quo pre-guerra.» Accordo vero, significa anche trovare una via di uscita per Assad, un accordo anche con il regime siriano.
In questi giorni le carte più pesanti le ha Putin, che è il promotore di un gruppo di contatto che comprende Mosca, Washington, Teheran e poi Arabia Saudita, Egitto e Turchia (potenze regionali con posizioni diverse nei confronti di Assad). Dal gruppo fuori europei e Cina, dentro nessuno con cui Washington non abbia avuto problemi negli ultimi tre-quattro anni. L’Iran di Rouhani, che ha fatto molti incontri e pronunciato un discorso impegnativo in assemblea, è forse il miglior interlocutore degli Stati Uniti. Una scommessa scivolosa per Obama.
Se l’iniziativa di Mosca funzionasse, Putin sarebbe riuscito a rompere l’isolamento che è seguito alla crisi in Ucraina e dare un colpo all’IS. Gli Usa probabilmente aumenteranno le incursioni aeree per mostrare di esserci (come ha fatto Hollande), ma dovranno vedere le carte di Putin. Che dovrà a sua volta convincere Washington di non stare barando.