Le elezioni parlamentari di giugno.
Con le elezioni parlamentari di giugno, per la prima volta, il partito pro-curdo è riuscito a superare la temuta soglia di sbarramento del 10% e a garantirsi 80 seggi in Parlamento. Nel periodo immediatamente successivo alle elezioni, quel 13% ottenuto dal Partito democratico popolare, HDP, ha iniziato a essere percepito come una minaccia da parte del Partito dei lavoratori del Kurdistan, PKK, che si è trovato improvvisamente con un alleato più influente e più istituzionalmente accreditato di lui.
Da quel momento, «HDP e PKK si sono trovati a rivendicare entrambi, da diverse posizioni, la vittoria ottenuta alle elezioni. Lo scontro è iniziato come un botta e risposta tra i due gruppi la stessa notte delle elezioni», spiega Mustafa Gurbuz, esperto della questione curda e membro permanente presso il Rethink Institute di Washington.
«Premesso che le radici ideologiche del PKK e dell’HDP erano le stesse fino a pochissimo tempo fa, dobbiamo ammettere che quelle radici si sono profondamente separate il 7 giugno, il giorno delle elezioni; non importa quanto siamo arrabbiati con lui per quello che ha fatto, il leader dell’HDP Selahattin Demirtaş ha diffuso una percezione positiva di queste nuove grandi radici che lui ha creato e con cui è riuscito a guadagnare un alto livello di fiducia nel popolo», dice il giornalista dell’Hurriet Daily News, Sükrü Küçüksahin. Cengiz Çandar, un altro giornalista della stessa testata, esperto della questione curda, è arrivato a equiparare le tensioni tra HDP e PKK a quelle tra HDP e AKP, il partito del presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan. In un articolo sull’Hurriyet, Çandar ha sostenuto che, a seguito delle elezioni di giugno, il PKK ha utilizzato una strategia di indebolimento non solamente del governo dell’AKP, ma anche dell’ HDP: «Demirtaş è una figura politica con un brillante futuro. Forse questa è stata la ragione per cui il PKK lo ha presentato come un traditore della causa curda, sostenendo l’idea della sua eliminazione politica attraverso una trappola».
Escalation di violenze dopo l’attentato di Suruc.
Soltanto un mese e mezzo dopo le elezioni, il 20 luglio, l’attacco kamikaze di un giovane ragazzo curdo affiliato all’Isis uccide 32 attivisti curdi e ferisce 100 persone nella città di Suruc, al confine turco-siriano, di fronte alla città di Kobane. Il tragico evento porta lo scatenarsi nel Paese di molte proteste contro il governo turco, accusato di non aver fatto abbastanza per fermare l’avanzata dell’Isis alla frontiera con la Siria e quindi di essere indirettamente responsabile del terribile massacro. Come ritorsione per l’attentato, il 22 luglio, il braccio armato del fuorilegge PKK decide di condurre un’azione punitiva, rivendicando l’uccisione di due poliziotti turchi nella città di Ceylanpinar, vicino al confine siriano. I due poliziotti vengono, inoltre, accusati dal gruppo armato di aver collaborato con l’Isis per portare a termine l’attentato. L’escalation di violenza porta a un’immediata rottura del cessate il fuoco tra il PKK e il governo turco. Nello stesso tempo il tragico evento mina profondamente, come mai era successo prima, le relazioni tra il PKK e il suo stretto affiliato pro-curdo, HDP. Molte dichiarazioni pubbliche rilasciate durante l’estate dai leader del PKK evidenziano che “la trappola” di cui parlava Çandar era scattata.
Facendo trapelare un crescente disagio nei confronti di Demirtaş, Duran Kalkan, autorevole militante nel PKK, il 27 agosto rilascia un’intervista al giornale turco Yeni Şafak, scagliandosi contro il leader dell’HDP: «Ma sappiamo davvero chi è, che cosa ha fatto o portato a termine finora?». La risposta di Demirtaş non si è fatta attendere a lungo. Ha invitato il PKK a mettere giù le armi e a lavorare per un’incondizionata cessazione delle ostilità: «Non importa da dove viene e che scopi vuole attuare, la violenza deve finire, i poliziotti uccisi dal PKK sono nostri figli». Le sue parole hanno rappresentato la prima forte presa di posizione contro l’operato del PKK. La totale indifferenza degli esponenti del PKK agli appelli per la pace di Demirtaş sono una valida dimostrazione che gli equilibri all’interno del movimento curdo stanno cambiando e che la formazione partitica attualmente in parlamento sta sempre più prendendo le distanze dal suo alleato scomodo.
I principali punti di contrasto
Il principale punto di divergenza tra il PKK e l’HDP è il metodo politico con il quale portare avanti le istanze della questione curda. Secondo gli analisti, mentre l’HDP spera ancora in una soluzione politica alla situazione di stallo attuale, il PKK è fermamente convinto che il negoziato di pace con il governo turco sia definitivamente morto e la ripresa della lotta armata si sia resa assolutamente necessaria. L’ambizione dell’HDP è quella di agire come una vera coalizione di sinistra, con una base di elettorato che vada oltre la popolazione curda e la ripresa della lotta armata da parte del PKK è il primo impedimento alla riuscita di tale progetto. Secondo il co-direttore e ricercatore dell’Istituto turco di Londra, Mustafa Demir: «L’escalation di violenza da parte del PKK ha indebolito il peso politico dell’HDP e ha mostrato a tutti che il suo successo dipende dal sostegno popolare del PKK. Quando i curdi hanno visto i propri rappresentanti entrare in Parlamento e lottare per i diritti democratici curdi, tutti hanno iniziato a mettere in discussione la necessità di una lotta armata», ha detto Demir. «Ma l’escalation di violenza raggiunto con l’attentato di luglio ha nuovamente giustificato la lotta armata del PKK, mentre ha indebolito il ruolo dei rappresentanti parlamentari agli occhi degli elettori curdi», ha aggiunto.
Un altro punto di divergenza è la visione del futuro di entrambi i gruppi. Mentre il PKK ha una prospettiva regionale, legata al territorio curdo, che comprende il sud-est della Turchia e parte della Siria, l’HDP sta cercando di affermarsi come un partito turco che rappresenta anche le istanze di chi curdo non è e non solo in quella zona geografica. Entrambi vogliono l’autonomia locale per la regione sud-est a maggioranza curda della Turchia ma le finalità con cui raggiungere l’obiettivo sono profondamente diverse: l’HDP vuole infatti arrivare all’autonomia locale tramite un processo democratico all’interno del sistema politico odierno, mentre il PKK vuole creare zone autonome spesso attraverso l’uso delle armi.
Un precario equilibrio
Nonostante le crepe esistenti tra i curdi, i recenti eventi nella città sudorientale di Cizre sono riusciti nuovamente a serrare le fila del movimento. In questa città di centomila abitanti della provincia a maggioranza curda di Şırnak, il 4 settembre l’esercito turco ha lanciato un’operazione contro un focolaio dell’insurrezione armata ripresa alla fine di luglio, con un bilancio finale di almeno 20 vittime tra i civili. Per otto giorni la città è stata accerchiata dall’esercito, è stato imposto il coprifuoco e nell’isolamento totale, si sono consumati scontri durissimi fra militanti del PKK, aiutati da 200 giovani e soldati. Dopo una settimana dalla revoca del coprifuoco a Cizre, la Turchia è stata scossa dall’attentato di Dağlıca, il più sanguinoso nella storia del conflitto fra esercito e PKK, dove hanno perso la vita 16 soldati. E poco dopo 13 poliziotti sono morti in un altro attentato vicino a Iğdır. Questo scenario di continua tensione tra le parti ha un costo altissimo per la popolazione: intere province militarizzate e un aumento delle vittime civili. Né l’esercito e il governo né il PKK sembrano intenzionati a fermarsi. E il PKK riesce a controllare sacche di territorio intere, così come riesce a reclutare molti giovani, rendendo la sua presenza capillare sul territorio.
L’HDP alle elezioni di novembre
In questo scenario, l’HDP potrebbe svolgere un ruolo di mediazione tra il PKK, e il governo ad interim, nel quale l’HDP ha scelto di entrare e che deve portare la Turchia alle elezioni anticipate dell’1 novembre. Una mossa difficile, che rischia di deludere parte del suo elettorato, soprattutto quello curdo, se non riesce a trovare un compromesso con l’AKP di Erdogan, il cui unico obiettivo è non far arrivare il partito pro-curdo alla soglia del 10%, eliminandolo così dalla competizione politica. L’aspetto più preoccupante è che gli appelli di Demirtaş al PKK per un cessate il fuoco unilaterale sono caduti nel vuoto. E nelle sue ultime dichiarazioni Demirtaş è sembrato poco disposto a cercare compromessi a oltranza, tradendo un’insofferenza di fondo che non tarderà ad esplodere: «Cizre è la Kobane turca», ha affermato. La legittimità politica del suo partito è messa in pericolo dallo sviluppo del conflitto. L’HDP si trova a dover bilanciare tra il netto rifiuto della lotta armata, grazie al quale si è ritagliato un ruolo di mediazione fra stato e PKK, e la necessità di difendere la causa curda per non perdere consensi preziosi.