Conferenza stampa, un libro in uscita, un blog aperto a fine agosto e un coming-out alla vigilia di uno degli appuntamenti più importanti dell’universo cattolico, il sinodo sulla famiglia: il sacerdote polacco Krzysztof Charamsa presenta al mondo il suo compagno, seguendo il perfetto schema di lancio di una casa di produzione cinematografica. Annuncia convivenza e omosessualità, e rincara con una frase che non può lasciare indifferenti: «È il momento che la Chiesa apra gli occhi e capisca che la soluzione che propone, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana». E rilancia l’intento di apripista: «Dedico il mio coming out ai tantissimi sacerdoti omosessuali che non hanno la forza di uscire dall’armadio».
Com’è naturale, il dibattito si apre, e altrettanto prevedibilmente, la Chiesa boccia, per tramite del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, l’«indebita pressione mediatica sul Sinodo» esercitata dell’exploit del teologo, che «non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede (di cui era ufficiale, ndr) e le università pontificie (presso le quali era docente)». Gli altri aspetti della sua situazione «sono di competenza del suo ordinario diocesano», monsignor Ryszard Kasyna, vescovo di Pelplin, che ha già ammonito il prelato a «tornare sulla via del sacerdozio di Cristo».
Temi principali della XIV Assemblea generale ordinaria dei vescovi (istituita da Paolo VI nel 1965), che ha iniziato i lavori stamattina per concludersi il 25 ottobre: l’ammissione alla comunione per i divorziati risposati, le coppie di fatto e l’omosessualità, la contraccezione. A cui si aggiungerà il tema della castità per i prelati? No signore: «l’assise vaticana e le vicende mediatiche sono questioni separate», ha chiarito l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. I 270 padri sinodali, provenienti dai 5 continenti, si guarderanno bene dal discutere un’uscita che non può che essere stroncata sul nascere. Ne è riprova il quasi silenzio delle testate cattoliche, che riportano in sordina non la notizia, quanto il commento del portavoce del Vaticano, in secondo piano.
Il punto è: all’interno di un’istituzione che deve al controllo e ai dogmi indiscutibili la propria tenuta, nell’era della comunicazione immediata e senza limiti, che riverbero può avere una dichiarazione del genere?
La ricaduta a pioggia sulle comunità più piccole potrà portare altri preti a uscire allo scoperto, o al contrario, l’epilogo potrebbe essere quello di un oscurantismo di ritorno, proprio in risposta alle modalità spettacolari e clamorose dell’annuncio?
La dottrina cattolica, così come la giurisprudenza e la morale, deve suo malgrado a un certo punto avvicinarsi alla realtà, se vuole continuare a svolgere la sua funzione di barometro valoriale di riferimento (quantomeno per i suoi fedeli). E, il nome di questa realtà, che senso ha mantenere il celibato e soprattutto il voto di castità in maniera assiomatica, quando moltissimi rappresentanti della Chiesa cattolica, intrattengono relazioni (etero o omosessuali)? Ha ancora un senso ai giorni nostri imporre il voto di castità ai sacerdoti?
È possibile immagine una Chiesa che comprenda la pratica dell’amore, anche nei fatti e anche per i suoi rappresentanti?