Alla conferenza del partito conservatore britannico a Manchester, la Home Secretary (la minostro degli Interni) Teresa May ha annunciato un piano per restringere il diritto di asilo nel Paese (“tough”, lo ha chiamato, “duro-tosto”).
La May ha anche ribadito la sua intenzione di tagliare il numero di persone che entra nel Paese per ragioni lavorative sotto i 100mila. Una promessa già fatta quattro anni fa all’avvio del primo governo Cameron, e smentita dai fatti: sotto Cameron il flusso di immigrati è continuato come e più che negli anni precedenti. «Con tanta immigrazione è imossibile pensare a una società coesa», ha detto May.
La Danimarca ha invece deciso di complicare la vita a rifugiati e immigrati che volessero richiedere la cittadinanza. Così facendo il Paese scandinavo si conferma il più chiuso nei confronti degli arrivi assieme alla Finlandia.
Il governo di centrodestra ha infatti introdotto nuove misure – in vigore dal 15 ottobre – che aumentano le necessità per chi fa domanda: più test linguistici e più requisiti finanziari (essere autosufficienti per quattro anni e mezzo) e rispondere correttamente all’80 per cento delle domande su temi di attualità danesi.
Inger Støjberg, il ministro degli Interni, ha dichiarato che «l’acquisizione della cittadinanza danese è qualcosa di molto speciale, e pr questo è ragionevole alzare l’asticella di quando una persona può chiamarsi se stesso danese.». Per essere una delle patrie del welfare socialdemocratico, è un nazionalismo che spaventa. Del resto anche la legge sui ricongiungmenti familiari danese è pessima e quando è stata approvata ha diviso molte famiglie già residenti nel Paese.
«Troppe persone che hanno ottenuto la cittadinanza non parlano danese», ha detto Astrid Krag, del partito liberale Venstre.
Le regole entreranno in vigore il 15 ottobre, dopo un accordo è stato raggiunto tra Venstre, l’estrema destra danese, i conservatori, l’Alleanza Liberale e i Socialdemocratici. Che inseguono malamente i loro avversari.
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