Si chiama “Manuale per una scuola ribelle” ed è una sorta di vademecum per una “sana” contestazione contro la Buona scuola. È diviso in tre parti: nella prima sono contenute informazioni sulla legge 107 perché per contestare bisogna prima conoscere. Nella seconda, si suggeriscono gli strumenti per difendere i propri diritti – dalla didattica all’autogestione – e infine, nella terza, le pratiche di lotta: non solo occupazioni e assemblee ma anche organizzazioni di eventi culturali e proiezioni di film, perché no. Il Manuale (qui) è un po’ il segno della nuova stagione di protesta degli studenti che comincia con la mobilitazione del 9 ottobre. «Se ti rassegni e pensi solo a boicottare si sgonfia tutto», dice Danilo Lampis, coordinatore nazionale dell’Uds (Unione degli studenti). «Bisogna invece trovare attraverso proposte di progetti e di attività, un meccanismo di speranza. All’autoritarismo non si risponde indurendosi, magari in maniera stupida, ma favorendo la partecipazione», continua Lampis che cita la frase che campeggerà nelle magliette di quest’autunno: « È di Ludovico Geymonat e dice: “L’importante è la contestazione e la creazione” ».
I punti critici della legge 107 che gli studenti contestano
Al primo posto i comitati di valutazione, a cui prendono parte anche gli studenti, com’è noto. Dai comitati dovranno essere “scelti” i prof che poi riceveranno il bonus in denaro. «Stiamo vedendo che c’è un certo ritardo nella formazione dei comitati e lo notiamo con piacere perché propugnano idee punitive e premiali», continua il rappresentante dell’Uds. Gli studenti non ci stanno a «diventare carnefici dei docenti» e propongono come alternativa incontri bimestrali – senza genitori, anche loro nel comitato – in cui magari si evidenzino gli eventuali deficit degli insegnanti da valutare. Il secondo punto critico è l’erogazione dello School bonus, attraverso cui i privati possono erogare denaro e ricevere detrazioni fiscali del 65 per cento. Questo crea disuguaglianze tra scuole e territori. Altro punto critico: l’alternanza scuola-lavoro, per il triennio dei licei di 200 ore, mentre per i tecnici di 400 ore. «Qui il rischio è che si aprano percorsi dequalificanti, magari anche nel periodo estivo. Occorre la garanzia della presenza di un tutor dentro l’azienda e che ci sia un codice etico per le imprese. E vogliamo una carta dei diritti degli studenti. Noi non siamo contro il saper fare ma siamo contro l’andare a imparare un mestiere», conclude Danilo Lampis.
Scuole superiori e università insieme
Per il 9 ottobre sono già previsti un centinaio di cortei nelle città, con una mobilitazione che vede partecipare insieme – von lo slogan “Vogliamo potere” – sia gli studenti delle scuole superiori, che quelli universitari. Il diritto allo studio è diventato ormai un’emergenza, visto che in dieci anni in Italia si è verificato il crollo delle immatricolazioni: ben 80mila in meno. Ogni anno 40mila studenti che hanno tutti i requisiti per avere la borsa di studio rimangono esclusi perché non ci sono soldi a sufficienza. In più adesso, con il nuovo Isee, la quota di studenti non garantiti sarà maggiore. Ma il Ministero, per il momento, nonostante incontri e sollecitazioni e anche dichiarazioni da parte del ministro Giannini, non passa ai fatti. Il diritto allo studio negato fa sì che siamo ultimi in Europa per numero di laureati, con il 22 per cento, rispetto alla media europea che è del 37 per cento.
L’assemblea della Flc Cgil
Di diritto allo studio si è parlato molto anche all’assemblea nazionale della Flc Cgil dell’1 e 2 ottobre (qui i video). Il sindacato ha aderito sia alla manifestazione del 9 ottobre che a quella per il reddito e contro la povertà del 17 ottobre. E sia Francesco Sinopoli nell’introduzione che Domenico Pantaleo in chiusura hanno ricordato la necessità di garantire lo studio a tutti, anche a chi non può per motivi economici. Un “salto culturale” per il sindacato, è stato sottolineato più volte. All’assemblea Alberto Campailla portavoce di Link- Coordinamento universitario ha dipinto, dati alla mano, un quadro drammatico. I beneficiari di borse di studio in Italia sono il 10 %, rispetto al 19 % della Spagna e il 27 % della Francia. Uno studente su quattro ha i requisiti ma non riceve nulla; tra l’altro tutto questo avviene a macchia di leopardo, visto che ogni regione ha il proprio “tetto” per il Dsu. Una situazione difficile che al di là delle cifre si manifesta, ha detto Campailla, «nel numero chiuso e nello sbarramento all’accesso di metà delle facoltà e nel grande tema della didattica che così com’è, oppressa dai tagli, impedisce la formazione di un pensiero critico». Che poi è il problema dei problemi. Come ha ricordato il professor Paolo Rossi, membro del Cun (Consiglio universitario nazionale) citando Orwell, «a un Paese ignorante si possono raccontare frottole». Ma la conseguenza – forse non sufficientemente analizzata dai governi – «è che una popolazione non formata non produce idee a livello di imprese innescando così una spirale negativa». Molto semplice: i mancati investimenti oggi nell’istruzione, ricadranno a mo’ di valanga sul futuro sviluppo economico.