Il Guardian ha pubblicato un editoriale di Marwan Barghouti, il leader della prima e della seconda Intifada, in carcere dal 2002 dopo un tentativo di uccisione da parte delle autorità israeliane nel 2001, fa un appello alle autorità internazionali affinché si muovano. La situazione nei Territori sembra sfuggire al controllo della autorità palestinesi – come del resto scrive indirettamente lo stesso Barghouti – e i raid israeliani su Gaza non fanno che far crescere la tensione. Il presidente francese Hollande ha parlato di «escalation pericolosa», mentre il Segretario di Stato Kerry ha parlato al telefono con Abbas e Netanyahu, così come la rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Federica Mogherini. Questa settimana si riunisce il Quartetto (Onu, Europa, Stati Uniti, Russia) che il primo ottobre all’Assemblea Onu ha lanciato una nuova – l’ennesima – iniziativa diplomatica. Qui sotto la traduzione di ampi stralci del testo di Barghouti.
L’escalation di violenza non è cominciata con l’uccisione di due coloni israeliani, ma molto tempo fa e va avanti da anni. Ogni giorno i palestinesi vengono uccisi, feriti, arrestati. Ogni giorno la colonizzazione dei Territori avanza, l’assedio nostro popolo a Gaza continua, l’oppressione continua. (…)
Alcuni hanno suggerito che il motivo per cui un accordo di pace non è stato possibile sia stata la riluttanza del presidente Yasser Arafat o l’incapacità del presidente Mahmoud Abbas, ma entrambi erano pronti e in grado a firmare un accordo. Il vero problema è che Israele ha scelto l’occupazione e utilizzato i negoziati come una cortina di fumo per far procedere il suo progetto coloniale. Ciascun governo del mondo conosce questo fatto banale, eppure molti fingono che il ritorno alle ricette fallite del passato possa far raggiungere la libertà e la pace. Ripetere la stessa cosa più e più volte e attendersi risultati diversi è pura follia.
Non ci possono essere negoziati senza un chiaro impegno di Israele di ritirarsi completamente dal territorio palestinese occupato nel 1967, compresa Gerusalemme Est; una fine completa a tutte le politiche coloniali; un riconoscimento dei diritti inalienabili del popolo palestinese compreso il loro diritto all’autodeterminazione e ritorno; e la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi. Non possiamo coesistere con l’occupazione e non ci arrenderemo ad essa.
Siamo stati chiamati a essere pazienti, e lo siamo stati, dando chance ogni volta al tentativo di raggiungere un accordo di pace. (…) Ci hanno detto che ricorrendo a mezzi pacifici e utilizzando i canali diplomatici avremmo ottenuto il sostegno della comunità internazionale per porre fine all’occupazione. (…) Ma la comunità internazionale non ha intrapreso misure significative (…)
Così, in assenza di un’azione internazionale per porre fine all’occupazione e all’impunità israeliane, che cosa ci è stato chiesto di fare? Aspettare osservare immobili la prossima famiglia palestinese bruciata, il prossimo bambino palestinese ucciso o arrestato, il prossimo insediamento in costruzione? (…) Le azioni e i crimini di Israele (…) minacciano di trasformare un conflitto politico risolvibile in una guerra di religione senza fine che mina la stabilità in una regione già attraversata da turbolenze senza precedenti. (…)
La nuova generazione palestinese non ha atteso colloqui di riconciliazione (tra le fazioni politiche palestinesi, ndr) per incarnare un’unità nazionale che i partiti politici non sono riusciti a raggiungere, ha superato le divisioni politiche e la frammentazione geografica. Non ha atteso istruzioni per difendere il proprio diritto e il suo dovere a resistere all’occupazione. (…)
Mi sono unito alla lotta per l’indipendenza palestinese 40 anni fa, e sono stato imprigionato la prima volta a 15 anni. Questo non mi ha impedito di lavorare per una pace che sia in conformità con il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu. Ma anno dopo anno Israele, la potenza occupante, ha metodicamente distrutto questa prospettiva. Ho trascorso 20 anni della mia vita nelle carceri israeliane, compresi gli ultimi 13, e questo tempo mi ha reso certo di una verità inalterabile: l’ultimo giorno di occupazione sarà il primo giorno di pace. Coloro che cercano quest’ultima devono agire, e agire adesso, per far finire la prima.
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