Se il sindaco dimissionario decidesse di chiedere il voto all'aula, per il Pd si complicherebbero non poco le cose. I consiglieri preferirebbero dimettersi

L’opzione non è così lontana. Ignazio Marino ha fatto intendere abbastanza chiaramente di non escludere un passaggio formale in aula, di chiedere un voto ai consiglieri sulle sue dimissioni. Per il Pd sarebbe un problema non di poco conto. Lo sarebbe anche perché i 19 consiglieri comunali democratici sono assai meno convinti, di quanto non lo siano Matteo Renzi e Matteo Orfini, della fine dell’esperienza Marino. Più di metà del gruppo, anzi, in una riunione convocata da Orfini ha detto al commissario romano del partito che piuttosto  che passare per l’aula e votare la fiducia preferirebbe dimettersi. Orfini per ora ha però tenuto il punto e a Marino ha recapitato il solito messaggio con un lungo post sul suo profilo Facebook: «È finita».

E se per la tempistica del ritorno al voto non cambierebbe molto (comunque, sfiducia o dimissioni ci sarebbe un commissariamento fino alla prima finestra elettorale utile che è a maggio o giugno del 2016, con Milano, Bologna e compagnia), per l’immagine del Partito non è la stessa cosa. Ad aumentare l’imbarazzo ci si è messa anche Sel, con quello che è in realtà l’ennesimo cambio di posizione: anche se nelle ore più calde il coordinatore cittadino dei vendoliani Paolo Cento si era detto pronto a votare una mozione di sfiducia del Pd, è il consigliere Gianluca Peciola ad aprire a un confronto, a chiedere di verificare le condizioni per un nuovo patto.

Ignazio Marino in queste ore sta continuando con la sua attività, riunisce la giunta, porta a termine le delibere rimaste sospese. Che possa trovare i numeri per andare avanti e superare questa crisi (forte di un ridimensionamento dell’affaire scontrini), è improbabile, ma con il Pd romano non si può mai dire. Di renziani puri, in consiglio comunale, non ce ne sono quasi. Molti sono gli orfiniani, tanti sono quelli che devono soprattutto rendere conto ai territori (dove i presidenti di municipio preferirebbero continuare a governare, ovviamente), tanti quelli che devono rendere conto agli elettori. E poi c’è l’incognita del voto, i sondaggi che danno i 5 stelle 12 punti avanti (19 Pd, 31 M5s), e il buio assoluto su un candidato che accetti la sfida.

L’incertezza del quadro ha spinto il prefetto Gabrielli a ricordare che il nome del commissario che si occuperà della città può esser deciso solo dopo le effettive dimissioni del sindaco, o dopo lo scioglimento del consiglio comunale. La data è quindi il 2 novembre. Salvo che Marino non tiri fuori una tempra insperata.