L’ultimo bombardamento aereo russo in Siria ha causato almeno 13 morti: Sarmin, un villaggio della provincia di Idlib nella Siria nord-occidentale, e il suo ospedale da campo sono stati colpiti e distrutti. Almeno tre delle vittime facevano parte del personale medico che stava lavorando all’interno della struttura. Sopravvissuti e testimoni hanno confermato che l’ospedale è stato colpito da due attacchi aerei, molto ravvicinati l’uno all’altro. Secondo un portavoce del ministero della Difesa di Mosca, il generale Igor Konashenkov, obiettivo del raid sarebbe invece stato un “sito d’incontri tra capi di bande terroristiche” e lo “scantinato di una costruzione in abbandono”, dove sarebbero stati preventivamente avvistati da droni nove fuoristrada armati con mitragliatrici. Il bersaglio, ha dichiarato sempre il generale russo, sarebbe stato individuato mediante “intercettazioni radiofoniche”.
Le affermazioni della Russia sui suoi attacchi, a detta del governo esclusivamente mirati contro lo Stato Islamico, contrastano con le prove sul campo: le aree più pesantemente bombardate sarebbero zone in cui non è stata rilevata una significativa presenza dell’Isis. A rendere noto l’errore militare è stato Rami Abdel Rahman, direttore dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione dell’opposizione non radicale in esilio, con sede a Londra, la cui denuncia è stata seguita da quella della Sams-Syrian American Medical Society, la fondazione privata americana responsabile appunto della struttura, il cui personale ha confermato l’attacco parlando di “ingenti danni” riportati dal complesso. Il Dr. Mohamed Tennari, direttore dell’ospedale di Sarmin, ha espresso forti dubbi sulla non intenzionalità dell’attacco: ha detto che la struttura sembrava essere stata presa di mira, probabilmente perché così non avrebbe più potuto fornire aiuto e cure mediche ai pazienti su una delle linee di guerra più pericolose e martoriate dagli attacchi. Inoltre ha raccontato che l’ospedale era già stato il bersaglio di almeno 10 altri attacchi aerei precedenti. Molte organizzazioni mediche internazionali hanno più volte confermato i dubbi del Dr. Tennari, sostenendo che le strutture sanitarie nelle zone di confine o in quelle dove le forze di opposizione sono più forti, vengono sistematicamente prese di mira.
L’associazione Medici per i Diritti Umani ha documentato, dall’inizio delle proteste contro il regime di Bashar al-Assad nel marzo 2011 alla fine di agosto 2015, ben 307 attacchi contro strutture mediche e la morte di almeno 670 persone che facevano parte del personale medico. «Le forze governative siriane sono state responsabili per oltre il 90% di questi attacchi, ognuno dei quali costituisce un crimine di guerra», ha dichiarato l’organizzazione. Khaled Almilaji, il direttore dell’associazione Medical Relief in Siria, ha detto: «il mondo intero dovrebbe indignarsi ogni volta che succede una cosa del genere, come è successo dopo l’attacco statunitense che ha distrutto l’ospedale di Kunduz in Afghanistan. La rabbia non può e non deve essere solo diretta nei confronti di Bashar al-Assad, che indubbiamente è stato disumano con noi. I russi sono altrettanto violenti, hanno solo tecnologie più sviluppate e sono più accurati nei bombardamenti. Nelle ultime tre o quattro settimane gli attacchi aerei (guidati dalle forze dell’aviazione russa) sono diventati molto precisi e molto intensi: questo ha fatto sì che la situazione peggiorasse e il numero degli sfollati aumentasse tantissimo».
Il direttore di Medici per i Diritti Umani, Widney Brown, si è spinto ancora oltre, sostenendo che la Russia stia ormai seguendo le orme del regime di Assad e che la lotta contro i terroristi non debba poter concedere ai governi il diritto di venir meno alle leggi di guerra, in particolare quando il risultato è colpire la salute di chi lavora e i servizi base per la popolazione, come l’assistenza sanitaria. Dall’inizio della campagna aerea contro l’Isis, meno di un mese fa, l’aviazione russa è stata già più volte accusata di aver colpito strutture sanitarie, anziché obiettivi militari: lo scorso 2 ottobre, sempre l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, aveva riferito di bombardamenti di un ospedale da campo nella provincia costiera di Latakia, e di un altro in quella centrale di Hama. Mentre altri due episodi simili nella provincia settentrionale di Aleppo erano stati segnalati la scorsa settimana dal giornalista e attivista umanitario Maamoun al-Khatib.
Sei videocamere mostrano a 360° le condizioni in cui si trova la Siria dopo quattro anni di guerra civile. Attraverso l’uso del cursore è possibile spostarsi in tutte le direzioni. Il reportage, realizzato dall’agenzia siriana Smart News, attraversa Jisr al-Shughur, una delle città al confine con la Turchia più colpite dal conflitto: fino al 2011 era abitata da 40 mila persone, adesso è sotto il controllo dei ribelli e ciò che resta sono solo cumuli di macerie.
L’accordo Usa-Russia sugli incidenti aerei
Intanto Usa e Russia hanno firmato un accordo per evitare incidenti aerei in Siria: lo ha confermato il Pentagono, che in una nota ufficiale ha specificato che «le discussioni che hanno portato a questo accordo non costituiscono una collaborazione o un sostegno statunitense alle politiche o alle azioni russe in Siria. Al contrario, continuiamo a credere che la strategia di Mosca sia controproducente e che il suo appoggio al regime di Assad aggravi la guerra civile». Conferme arrivano anche da Mosca: «questa mattina abbiamo ricevuto un memorandum approvato dai nostri colleghi americani per prevenire gli incidenti aerei in Siria tra l’aviazione russa e quella Usa, che regolerà sia i velivoli pilotati che i droni», ha dichiarato Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russa. Non appena l’accordo entrerà in vigore, saranno stabiliti canali di comunicazione 24 ore su 24 tra i comandi dell’esercito russo e americano. Stando al ministero della Difesa russo, gli Usa si sono impegnati a comunicare i dettagli del memorandum ai partner della coalizione anti-Isis in modo che anche loro possano seguire le stesse regole. Intanto, secondo media turchi, Mosca avrebbe negoziato con Ankara e la Nato un’uscita di scena soft per Bashar Al-Assad. Il presidente siriano potrebbe restare in carica sei mesi, con un ruolo simbolico, durante la prima fase della transizione.