Parla Patrizio Cinque, giovane sindaco del comune siciliano dove nei giorni scorsi sono state arrestate ventidue persone: «C'è una ventata di novità che non di pende solo dalla nuova amministrazione, i cittadini si sono stancati»

«Tira proprio un’aria di cambiamento, che toglie ossigeno ai disonesti». A parlare è Patrizio Cinque, il sindaco di Bagheria, il paese di Dacia Maraini e Renato Guttuso, tristemente famoso però per essere stato un feudo di Bernardo Provenzano, il boss dei boss. A Bagheria, due giorni fa una retata delle forze dell’ordine, dopo la denuncia di 36 commercianti strozzati dal pizzo, ha stroncato il racket mafioso. Ventidue gli arresti. Trent’anni, una laurea in Comunicazione pubblica, ex collaboratore parlamentare alla Regione Sicilia, il giovane sindaco è un fiume in piena. Eletto un anno fa, è uno dei simboli del trionfo del M5s in Sicilia. Sedici consiglieri sono pentastellati e la sua maggioranza ha sostituito quella precedente a guida Udc-Pd.

Sindaco  veramente è cambiata l’aria nel suo paese?

Quello che è successo dimostra che la Sicilia può cambiare e tutto dipende dal fatto che i cittadini onesti con un sussulto di dignità mettono da parte quelli disonesti. La mafia si può sconfiggere. Bagheria può essere un buon esempio. Noi vediamo una ventata di novità, e non dipende solo dalla nuova amministrazione.

Da cosa dipende?

I cittadini si stanno svegliando, sono stanchi di essere additati come abitanti di mafia, Bagheria è stata all’interno del triangolo della morte, ricordiamoci che qui ha abitato Bernardo Provenzano, tra l’altro in una casa popolare del Comune. Non era mai stato detto, l’ho rivelato io ai carabinieri qualche mese fa.

Quindi al Comune si chiudeva un occhio.

C’era protezione, protezione a tutti i livelli per Provenzano. Il Comune quando ha una casa popolare deve fare dei controlli. Quando tu ti permetti di stare tranquillo, sai che le forze dell’ordine non verranno mai a cercarti, e che il comune non verrà a chiederti nulla perché in effetti lì ci abitava il genitore di Flamia (il pentito Sergio Flamia Ndr) che ospitava Provenzano, significa che le protezioni c’erano.

Lei che Comune ha trovato? La macchina amministrativa è inquinata?

A me che ho trent’anni, la storia della mafia bagherese un po’ sfugge, ma chi mi ha preceduto la storia la conosce benissimo, sanno tutto. Se si voleva fare un controllo reale, e se la politica voleva cominciare a portare un po’ di giustizia nei nostri territori, lo poteva fare. Si sapeva anche che a Bagheria si pagava il pizzo.

Quali azioni concrete avete intrapreso al Comune?

Entro pochi mesi dall’elezione insieme ad un assessore sono andato dai carabinieri per fornire notizie acquisite sul cimitero. Il precedente sindaco era stato sfiduciato proprio per quella vicenda. Lo aveva raccontato anche Flamia: fatti gravi, ricordo, come l’aver bruciato alcune salme. Abbiamo instaurato una collaborazione con le forze dell’ordine anche per ripulire la macchina comunale da eventuali presenze ingombranti che nel passato ci sono state.

Ma come si sta organizzando il Comune?

Abbiamo rifatto il piano anticorruzione, abbiamo fissato dei paletti per quanto riguarda il cimitero comunale: abbiamo stabilito che le imprese che lavorano lì debbano avere il certificato antimafia e abbiamo registrato i loculi, insomma, abbiamo cercato di portare la legalità dentro il cimitero. Prima, ricordo, c’era l’anarchia totale, che permetteva a qualcuno di lucrare perfino sulle bare. Nell’ambito dell’amministrazione abbiamo riorganizzato la macchina, abbiamo portato a termine il licenziamento di un dirigente perché colto in flagrante per concussione. Ci siamo concentrati anche sul tema dei rifiuti. Abbiamo detto la parola fine alla gestione del consorzio Coinres (che gestisce la raccolta rifiuti nella zona a est di Palermo Ndr): qualche giorno fa sono andato alla prefettura di Palermo a consegnare dei documenti chiedendone lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Nella retata dell’altro ieri, ricordo, è stato arrestato anche un dipendente del Coinres. Da attivisti abbiamo instaurato dei rapporto con Libero futuro e Addio Pizzo per convincere i commercianti a non pagare il pizzo. Quello che sta succedendo è un caso raro, così tanti commercianti che si ribellano. Da mesi come Comune stiamo lavorando per creare uno sportello anti-racket all’interno di un edificio confiscato. Tra pochi giorni pubblicheremo il bando.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.