Un volume che racconta oltre cinquant’anni di giornalismo attraverso testate storiche come Il Giorno del mitico Gaetano Baldacci, La Stampa, Paese Sera, fino ad arrivare a l’Unità di Concita De Gregorio e al licenziamento successivo. Una pausa che le è servita per scrivere il libro, otto mesi per la scrittura, la verifica d’archivio e poi il lavoro di lima , grazie a Lila Greco. Da Grace Kelly a Sophia Loren, da Roma a Milano, dall’atmosfera della dolce vita a Lotta continua, dalla rivolta di Reggio al femminismo, Adele c’era sempre. «La Capria, che ha letto il libro, mi ha detto “sei la fatina prezzemolina, ci sei stata dappertutto”», racconta ridendo. E allora cominciamo dal giornalismo, la linfa vitale che muove gli oltre cinquant’anni trascorsi da quel 1953, quando questa donna minuta giunse a Roma dalla Calabria. Una terra che oggi, afferma Adele appena tornata dalla presentazione del libro a Reggio, la colpisce per la bellezza del paesaggio e per la depressione di chi vive ma che ai tempi della sua giovinezza era il Sud atavico e crudele con le donne. Nel libro si racconta dei lenzuoli macchiati di sangue esposti alla finestra dopo la prima notte di nozze e della vergogna della sposa o, per quanto la riguarda, delle lezioni all’università in compagnia della madre.
Laureata in Giurisprudenza, Adele non riesce a entrare in magistratura e si accontenta di un concorso da impiegata pur di andar via dalla Calabria. Ma su un punto era certa: voleva fare la giornalista. E non la muoveva un’idea del giornalismo utopica, magari per cambiare un po’ il mondo. «Quella è di voi giovani, dei movimenti. La mia utopia era di essere libera. L’occhio della gente era scomparso, che volevi di più? A Roma avevo una stanzetta, uno spazio totalmente mio. E poi dopo, nel 1956, andare in quella fucina di idee che era Il Giorno, un luogo di avventure, di follie. Non avevi bisogno di altri ideali». A Roma la giovanissima Adele si muove da sola, senza paura. “Al limite mi poteva capitare che in via Fratina in pieno giorno mi offrissero cinque sacchi ( cinquemila lire, ndr) – e io non sapevo cosa voleva dire – o che mi chiamassero “a fata transistor!”. Quando sono arrivata a Roma – continua – mi intrufolavo dappertutto, soprattutto gallerie d’arte, conferenze letterarie”.
Comincia a collaborare con un’agenzia di stampa che faceva capo a Scelba ma scrive e soprattutto incontra grandi personaggi di cui allora non sapeva assolutamente nulla. «Cocteau insieme con Jean Marais, ma io non sapevo che era omosessuale, non sapevo nemmeno cosa fosse allora l’omosessualità! E poi nelle gallerie vedevo quella signora con un bellissimo scialle russo, era Sibilla Aleramo». Nel libro Nove dimissioni e mezzo, scritto subito dopo il licenziamento da L’Unità, Adele ripercorre attraverso gli incontri le tappe della sua carriera: Milano e Il Giorno dove conosce Bernardo Valli, colui che sarà suo marito e da cui avrà due figli, «un uomo gradevole, che veniva dall’esperienza della Legione straniera e puoi immaginare s non mi faceva effetto con quest’aura – aveva fatto l’Indocina – per me che arrivavo da Raggio». Tanti i personaggi incontrati e gli avvenimenti seguiti, Liz Taylor e Brigitte Bardot, Federico Fellini, il Festival dei due mondi e un certo ambiente culturale, da Goffredo Parise per cui perse un po’la testa a Elsa Morante, fino a Pasolini. E anche gli anni difficili, lei che aveva concesso la sua firma come direttore responsabile al giornale Lotta continua proprio ai tempi dell’assassinio del commissario Calabresi e che per questo si ritrova nei guai giudiziari con grande scandalo della famiglia.
E poi il caso Moro, quello d’Urso e molti altro ancora della storia recente d’Italia. Un libro fresco, scritto com’è sul filo dei ricordi sempre legati all’oggi, il ritratto stesso dell’autrice, si potrebbe dire. «Io sono una di quelle “intercettatemi tutta”, non me ne frega assolutamente niente, sono quella che sono e non vedo perché lo devo nascondere». In questa mole di storie e personaggi emerge anche una certa immagine dell’essere giornalista. Quale differenza c’è tra quei tempi gloriosi quando una frotta di inviati si recava nel principato di Monaco per seguire il parto di Grace Kelly e adesso? «I giornali, escluso Il Giorno, erano meno ricchi di oggi. Ora non ce la fai a leggere tutta Repubblica o il Corriere, il problema, semmai, è quello della dipendenza del già noto, l’articolo di Scalfari, quello di Merlo… so già quello che dicono; c’è un senso di sazietà. Per me oggi l’unica possibilità di sopravvivenza dei giornali è la bella scrittura, la narrazione. E poi bisogna andare sul posto, parlare con le persone, vedere. Lo scrittore si dovrebbe trasferire sulla pagina, facendo di se stesso anche il cronista , a partire da quelli che considero al vertice della professione come Claudio Magris o Paolo Rumiz. Perché sei un testimone per chi non può essere lì. La mia sfida poi è di scrivere in diretta, come ho fatto anche nel romanzo Storia d’amore e schiavitù; d’altra parte la storia del licenziamento è stata la chiave per iniziare questo libro».
E la politica incontrata da Adele in tutti questi anni? Molto critica nei confronti di una certa sinistra estrema e di Lotta continua, «mi arrabbiai con quel tipo che venne in Calabria a dire ai figli dei braccianti di bruciare i libri, ma come? E anche Sofri, che pure aveva fatto la Normale di Pisa, mi rinfaccia talvolta “le cambiali che ho firmato per colpa tua che volevi i libri in redazione». Ma era un vezzo il suo, così come quello di dire “pensare da soli non è pensiero”. Ho letto i Manoscritti di Marx del ’44 e là c’è scritto bello chiaro che il comunismo primitivo è quello che vuole collettivizzare sia le donne che il talento». Ma anche con Togliatti aveva ingaggiato una particolare disputa, visto che sulla rivista Che fare di Francesco Leonetti aveva risposto punto per punto al leader comunista. «Quando lui sosteneva che non era la Chiesa cattolica la causa dell’arretratezza delle donne io rispondevo: e che cos’è allora? Il confessore?. L’ho scritto nel ’72». Ultima delusione , Veltroni: «Ero affezionata al sindaco della cultura, della solidarietà. Non penso che sia in malafede ma non ha saputo tenere insieme le due cose e poi è stato martoriato dalla rivalità con i suoi, come D’Alema. Ma quando ha toccato il Pincio, davvero mi ha deluso. I palazzinari sono la divinità della sinistra in Italia».