Cosa sta succedendo in Romania? La notte del 30 ottobre il Colectiv club, un locale della Capitale, si incendia, 32 ragazzi muoiono, altre 200 rimangono gravemente ferite; pochi giorno dopo (il primo novembre) dai 20mila ai 60mila giovani iniziano a manifestare spontaneamente per le strade di tutto il Paese. Quello seguente il premier Victor Ponta si dimette portandosi appresso tutto il governo socialdemocratico. Questi sono i fatti, fra i quali non è di facilità immediata leggere le connessione. La parola chiave per ristabilirla è, purtroppo, corruzione. Basti dire che proprio l’ormai ex primo ministro, dallo scorso 17 settembre è incriminato dal Dipartimento nazionale anticorruzione (Dna) per 17 reati, fra cui: corruzione, falsificazione di documenti, complicità in evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e immancabilmente conflitto di interessi per aver messo a capo del ministero dei Trasporti Dan Sova, un uomo col cui studio legale Ponta intratteneva dubbi rapporti commerciali. Anche l’ex senatore è ora sotto accusa per i medesimi capi d’imputazione. Già a giugno, quando scoppiò l’indagine, il presidente romeno Klaus Iohannis (amato sindaco per tre mandati di Sibiu ed eletto nel 2014 a causa dell’ennesimo scandalo che aveva investito sempre Ponta, candidatosi alle presidenziali seppure già a capo dell’Esecutivo), ne aveva chiesto le immediate dimissioni. Allora, il Parlamento votò in suo favore, con maggioranza parlamentare, l’immunità. Lo stesso Parlamento respinse a fine settembre la mozione di sfiducia presentata dal Partito nazionale liberale (Pnl) mentre già allora, nel centro della capitale romena, migliaia di persone protestavano contro il governo Ponta davanti al Parlamento. Dimissioni respinte naturalmente dal diretto interessato, che adesso pare invece non aver più potuto evitare. L’inchiesta choc ha infatti aumentato l’instabilità del Paese, dopo che quest’anno una serie di arresti di alto profilo ha attraversato la società. La morte di 32 persone ha ora fatto deflagrare una generazione che si può dire essere anestetizzata da anni, e che sembra in questi giorni essersi risvegliata tutta insieme: l’incendio è stata la crepa decisiva che ha portato alla frantumazione di una generazione ingessata. Una sorta di autunnale e civilissima Primavera romena che non ha più intenzione di accettare compromesso con una classe dirigente corrotta e mai veramente sbocciata nel dopo-Ceaușescu, ma che tuttavia continuava a perpetuarsi. «Serviva una tragedia per arrivare alla fine del governo di Victor Ponta», ha infatti duramente commentato Iohannis, accompagnando le dimissioni del premier. Decine di migliaia di persone - alle quali molte altre stanno continuando ad aggiungersi - stanno continuando a manifestare, sempre pacificamente, anche in queste ore a Bucarest, Brasov, Cluj, Timișoara, Costanza, Iasi e Ploiesti. E hanno promesso che le dimostrazioni di dissenso continueranno anche nei prossimi giorni. Sono giovani, per la gran parte, e sembrano anche visivamente un fiume in pena. Il sentimento generale «è di rabbia», raccontano: «Per essere stati presi in giro per quasi 30 anni». Più o meno l’età di molti di loro. [huge_it_gallery id="45"]   In effetti, la Romania è un Paese che da qui conosciamo poco, ma che in questi giorni sembra intenzionato a farsi sentire anche sul campo delle rivendicazioni civili. Politicamente, è una pentola a pressione. Un largo strato, spesso insofferente quanto indolente, distaccato e annoiato, stava aspettando solo la scintilla per potersi riattivare, un polo magnetico da seguire che finora è mancato. Così come è mancato, nella generazione politica che li ha preceduti e che li governa la capacità di formare un vero e proprio dialogo politico. «Dopo la rivoluzione si sapeva così poco di come funziona la politica democratica, che c'è stata una gran confusione nella quale nessuno è riuscito a ragionare a livello di politiche sociali o di qualunque tipo», spiega Cristian Stanescu, giovane programmatore di Bucarest che anche stasera sarà in piazza. «Si votavano le promesse e i programmi politici, senza necessariamente definirli di destra o sinistra. Anche perché considera che la destra non è nemmeno lontanamente paragonabile alle destre europee. Niente liberismo o razzismo nazionalista, o simile alla vostra Lega: non abbiamo immigrazione o ricchezza da generarli. La definirei più una sinistra meno di sinistra». È la voce della gioventù romena - colta, istruita, anche se priva di un’educazione politica vera e propria, di sinistra per una strana crescita spontanea che ha saltato una generazione, figlia di una borghesia a sua volta intellettuale e post comunista - che sembra essersi svegliata di colpo. L’incendio nella discoteca ha fatto divampare l’indignazione dei romeni, che si è trasformata in un vero e proprio tumulto. Ora, oltre a chiedere la testa di Ponta, vorrebbero le dimissioni non solo del sindaco del quarto distretto di Bucarest (dove si è svolta la tragedia della discoteca) Cristian Piedone (anche queste giunte in giornata), ma anche del vicepremier Gabriel Oprea, anch’egli al centro di numerosi scandali. L’ultimo dei quali due settimane fa: Oprea, è finito nel mirino dell'opinione pubblica quando uno degli agenti di polizia che seguiva il suo convoglio, un ragazzo di 28 anni, è deceduto a seguito di un incidente con la moto. Oprea non si sarebbe nemmeno fermato a soccorrerlo. E il tribunale di Bucarest ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo. Anche allora la gente era scesa in piazza e il Presidente della Repubblica aveva tuonato che premier e vicepremier quantomeno prendessero posizione.  Tra le altre accuse, rischia anche l’incriminazione per abuso d'ufficio: alla scorta avrebbero diritto presidente, premier e i presidenti di Camera e Senato. Oggi, a Bucarest, i dimostranti hanno organizzato un corteo che è transitato dinanzi alle sedi di governo, Parlamento e del quarto Municipio. Vorrebbero un governo tecnico, «senza politicanti», quello che non c’è mai stato dopo l’89: la vecchia Nomenklatura - rigettata dalla sollevazione popolare che con l’ondata della caduta del muro di Berlino aveva fatto cadere la dittatura di Nicolae Ceaușescu - si era immediatamente rimpossessata delle redini del governo, in un ponte con la Securitate, la polizia segreta, ufficialmente abolita subito dopo la caduta del Conducător (“il Condottiero”). Inciucio del quale il Paese non si è tutt’ora liberato: molti degli membri del Corpo sarebbero ora uomini d’affari e personaggi influenti della politica romena.   Ma il vento sembra cambiare. «Ho guardato con attenzione le manifestazioni di piazza. Sono molto contento del fatto che siano state manifestazioni senza violenza, senza esagerazioni e ho un messaggio molto importante per tutti coloro che sono stati le ultime due notti in strada: vi ho visti, vi ho sentiti e terrò conto delle vostre richieste», ha detto il Capo dello Stato. Stando a quanto previsto dalla Costituzione romena, spetterà a lui il compito di nominare un nuovo premier ad interim - il nome prescelto è Sorin Campeanu, ministro dell'Istruzione nell'ultimo governo di Victor Ponta - che garantirà l'attività del governo sino alla nomina di un nuovo esecutivo. «Le consultazioni con i partiti si svolgeranno tra oggi e domani. Voglio che questa settimana venga completato il primo giro di colloqui politici», ha assicurato Iohannis, che ha poi precisato che a seguire, «consulterò anche la società civile e la strada». Una delegazione in rappresentanza della società civile sarà infatti invitata alle consultazioni che dovrebbero portare alla scelta di un nuovo premier, scongiurando fra l’altro le ipotesi di nuove elezioni. Quello che è certo, è che il nuovo governo avrà un nuovo fiato sul collo.    

Cosa sta succedendo in Romania? La notte del 30 ottobre il Colectiv club, un locale della Capitale, si incendia, 32 ragazzi muoiono, altre 200 rimangono gravemente ferite; pochi giorno dopo (il primo novembre) dai 20mila ai 60mila giovani iniziano a manifestare spontaneamente per le strade di tutto il Paese. Quello seguente il premier Victor Ponta si dimette portandosi appresso tutto il governo socialdemocratico.

Questi sono i fatti, fra i quali non è di facilità immediata leggere le connessione. La parola chiave per ristabilirla è, purtroppo, corruzione.

Basti dire che proprio l’ormai ex primo ministro, dallo scorso 17 settembre è incriminato dal Dipartimento nazionale anticorruzione (Dna) per 17 reati, fra cui: corruzione, falsificazione di documenti, complicità in evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e immancabilmente conflitto di interessi per aver messo a capo del ministero dei Trasporti Dan Sova, un uomo col cui studio legale Ponta intratteneva dubbi rapporti commerciali. Anche l’ex senatore è ora sotto accusa per i medesimi capi d’imputazione. Già a giugno, quando scoppiò l’indagine, il presidente romeno Klaus Iohannis (amato sindaco per tre mandati di Sibiu ed eletto nel 2014 a causa dell’ennesimo scandalo che aveva investito sempre Ponta, candidatosi alle presidenziali seppure già a capo dell’Esecutivo), ne aveva chiesto le immediate dimissioni. Allora, il Parlamento votò in suo favore, con maggioranza parlamentare, l’immunità. Lo stesso Parlamento respinse a fine settembre la mozione di sfiducia presentata dal Partito nazionale liberale (Pnl) mentre già allora, nel centro della capitale romena, migliaia di persone protestavano contro il governo Ponta davanti al Parlamento.
Dimissioni respinte naturalmente dal diretto interessato, che adesso pare invece non aver più potuto evitare. L’inchiesta choc ha infatti aumentato l’instabilità del Paese, dopo che quest’anno una serie di arresti di alto profilo ha attraversato la società.

La morte di 32 persone ha ora fatto deflagrare una generazione che si può dire essere anestetizzata da anni, e che sembra in questi giorni essersi risvegliata tutta insieme: l’incendio è stata la crepa decisiva che ha portato alla frantumazione di una generazione ingessata. Una sorta di autunnale e civilissima Primavera romena che non ha più intenzione di accettare compromesso con una classe dirigente corrotta e mai veramente sbocciata nel dopo-Ceaușescu, ma che tuttavia continuava a perpetuarsi. «Serviva una tragedia per arrivare alla fine del governo di Victor Ponta», ha infatti duramente commentato Iohannis, accompagnando le dimissioni del premier.

Decine di migliaia di persone – alle quali molte altre stanno continuando ad aggiungersi – stanno continuando a manifestare, sempre pacificamente, anche in queste ore a Bucarest, Brasov, Cluj, Timișoara, Costanza, Iasi e Ploiesti. E hanno promesso che le dimostrazioni di dissenso continueranno anche nei prossimi giorni. Sono giovani, per la gran parte, e sembrano anche visivamente un fiume in pena. Il sentimento generale «è di rabbia», raccontano: «Per essere stati presi in giro per quasi 30 anni». Più o meno l’età di molti di loro.

 

In effetti, la Romania è un Paese che da qui conosciamo poco, ma che in questi giorni sembra intenzionato a farsi sentire anche sul campo delle rivendicazioni civili. Politicamente, è una pentola a pressione. Un largo strato, spesso insofferente quanto indolente, distaccato e annoiato, stava aspettando solo la scintilla per potersi riattivare, un polo magnetico da seguire che finora è mancato. Così come è mancato, nella generazione politica che li ha preceduti e che li governa la capacità di formare un vero e proprio dialogo politico. «Dopo la rivoluzione si sapeva così poco di come funziona la politica democratica, che c’è stata una gran confusione nella quale nessuno è riuscito a ragionare a livello di politiche sociali o di qualunque tipo», spiega Cristian Stanescu, giovane programmatore di Bucarest che anche stasera sarà in piazza. «Si votavano le promesse e i programmi politici, senza necessariamente definirli di destra o sinistra. Anche perché considera che la destra non è nemmeno lontanamente paragonabile alle destre europee. Niente liberismo o razzismo nazionalista, o simile alla vostra Lega: non abbiamo immigrazione o ricchezza da generarli. La definirei più una sinistra meno di sinistra».

È la voce della gioventù romena – colta, istruita, anche se priva di un’educazione politica vera e propria, di sinistra per una strana crescita spontanea che ha saltato una generazione, figlia di una borghesia a sua volta intellettuale e post comunista – che sembra essersi svegliata di colpo. L’incendio nella discoteca ha fatto divampare l’indignazione dei romeni, che si è trasformata in un vero e proprio tumulto.

Ora, oltre a chiedere la testa di Ponta, vorrebbero le dimissioni non solo del sindaco del quarto distretto di Bucarest (dove si è svolta la tragedia della discoteca) Cristian Piedone (anche queste giunte in giornata), ma anche del vicepremier Gabriel Oprea, anch’egli al centro di numerosi scandali. L’ultimo dei quali due settimane fa: Oprea, è finito nel mirino dell’opinione pubblica quando uno degli agenti di polizia che seguiva il suo convoglio, un ragazzo di 28 anni, è deceduto a seguito di un incidente con la moto. Oprea non si sarebbe nemmeno fermato a soccorrerlo. E il tribunale di Bucarest ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Anche allora la gente era scesa in piazza e il Presidente della Repubblica aveva tuonato che premier e vicepremier quantomeno prendessero posizione.  Tra le altre accuse, rischia anche l’incriminazione per abuso d’ufficio: alla scorta avrebbero diritto presidente, premier e i presidenti di Camera e Senato.

Oggi, a Bucarest, i dimostranti hanno organizzato un corteo che è transitato dinanzi alle sedi di governo, Parlamento e del quarto Municipio. Vorrebbero un governo tecnico, «senza politicanti», quello che non c’è mai stato dopo l’89: la vecchia Nomenklatura – rigettata dalla sollevazione popolare che con l’ondata della caduta del muro di Berlino aveva fatto cadere la dittatura di Nicolae Ceaușescu – si era immediatamente rimpossessata delle redini del governo, in un ponte con la Securitate, la polizia segreta, ufficialmente abolita subito dopo la caduta del Conducător (“il Condottiero”). Inciucio del quale il Paese non si è tutt’ora liberato: molti degli membri del Corpo sarebbero ora uomini d’affari e personaggi influenti della politica romena.

 

Ma il vento sembra cambiare. «Ho guardato con attenzione le manifestazioni di piazza. Sono molto contento del fatto che siano state manifestazioni senza violenza, senza esagerazioni e ho un messaggio molto importante per tutti coloro che sono stati le ultime due notti in strada: vi ho visti, vi ho sentiti e terrò conto delle vostre richieste», ha detto il Capo dello Stato. Stando a quanto previsto dalla Costituzione romena, spetterà a lui il compito di nominare un nuovo premier ad interim – il nome prescelto è Sorin Campeanu, ministro dell’Istruzione nell’ultimo governo di Victor Ponta – che garantirà l’attività del governo sino alla nomina di un nuovo esecutivo. «Le consultazioni con i partiti si svolgeranno tra oggi e domani. Voglio che questa settimana venga completato il primo giro di colloqui politici», ha assicurato Iohannis, che ha poi precisato che a seguire, «consulterò anche la società civile e la strada». Una delegazione in rappresentanza della società civile sarà infatti invitata alle consultazioni che dovrebbero portare alla scelta di un nuovo premier, scongiurando fra l’altro le ipotesi di nuove elezioni.

Quello che è certo, è che il nuovo governo avrà un nuovo fiato sul collo.