Oggi a Roma i parlamentari che hanno lasciato il Pd e quelli di Sel presentano i nuovi gruppi parlamentari tassello del percorso unitario della sinistra. Qui (e su Left in edicola) Stefano Fassina ci spiega perché questo è un passaggio necessario ma non sufficiente.
La fase politica e parlamentare in corso ruota intorno a temi di straordinaria rilevanza democratica, economica e sociale: da un lato, alla Camera, è già avviato in commissione l’iter del disegno di legge di revisione costituzionale per una seconda lettura soltanto formale, in vista dell’approvazione definitiva entro la primavera prossima, in modo da consentire in autunno lo svolgimento del referendum, proposto dal premier come plebiscito sulla sua persona e le sue “imprese storiche”; dall’altro, al Senato, è incominciata la discussione sul disegno di legge di Stabilità, provvedimento di evidente segno elettorale, finalizzato a consolidare il riposizionamento del Pd, Partito della Nazione, verso gli interessi più forti e le fasce di orfani del berlusconismo. Sono entrambi provvedimenti di impianto regressivo. Portano avanti l’iniziativa del governo Renzi nel segno della restrizione degli spazi di partecipazione democratica, di svalutazione del lavoro e di tagli al welfare. Sono in piena coerenza con i principali e distintivi “successi” imposti dal governo Renzi al Parlamento: dal celebrato Jobs act, alla controriforma della scuola pubblica; dall’Italicum allo Sblocca Italia alla sottomissione della Rai al pieno controllo dell’esecutivo. Alimentano il trasformismo messo in campo negli ultimi mesi dall’esecutivo per allargare nei fatti la maggioranza a transfughi di Forza Italia.
In tale contesto, dopo un anno e mezzo di posizioni condivise e voti analoghi sulle misure distintive del governo Renzi è ora di mettere insieme in un gruppo parlamentare unito sia alla Camera che al Senato quanti, da sinistra, hanno combattuto per frenare l’offensiva di svalutazione del lavoro e di svuotamento della democrazia. È ora di compiere un salto di qualità nelle nostre battaglie parlamentari, non solo per contrastare le misure del governo, ma per far avanzare le nostre proposte alternative.
La nascita dei gruppi è una tappa, non la prima e certamente non la conclusiva, di un percorso già avviato nei territori e in una serie di appuntamenti a livello nazionale dall’intero arco di soggetti politici della sinistra. A breve, segue un’assemblea nazionale per l’avvio della fase costituente del partito. Intanto, i tempi sono maturi per offrire un riferimento istituzionale alla costruzione del progetto di una sinistra di governo, alternativa all’agenda liberista portata avanti dal Pd. Una forza politica che non si accontenti di occupare uno “spazietto” a sinistra del Pd, ma si misuri con la sfida della ricostruzione della soggettività politica del lavoro, condizione imprescindibile per ridare senso alla democrazia. Come ha ben descritto Stefano Rodotà in un recente commento su la Repubblica, i gruppi parlamentari intendono svolgere la funzione di “terminali sociali”, riferimento autonomo e attivo delle mille domande del variegato universo del lavoro, delle esperienze di volontariato sociale, culturale, civico, dei movimenti impegnati per la difesa del territorio e dell’ambiente, per la valorizzazione della scuola pubblica, per le iniziative di rilancio dei principi della nostra Costituzione. Vogliono essere interlocutore sistematico delle rappresentanze economiche e sociali e dei governi territoriali in una pratica efficace del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale. Insomma, un primo tassello per rigenerare il funzionamento della democrazia costituzionale.
Questo commento è stato pubblicato sul numero 43 di Left in edicola dal 7 novembre