E se la scusa di dover commissariare tutto, per manifesta inefficienza della politica, fosse appunto una scusa, per - come dice Marino, finalmente arrabbiato - soddisfare una bulimia di potere?

Francesco Paolo Tronca è lì, sorridente, saluta con la mano. È sul balcone che dall’ufficio del sindaco di Roma guarda i Fori, in posa per i giornalisti. Il problema è che sembra un sindaco vero, di quelli eletti, Tronca, mentre è solo un commissario prefettizio, nominato da governo e prefettura per svolgere l’ordinaria amministrazione fino a nuove elezioni. Un traghettatore, invece, è e sarà Tronca. E norma (anzi, norma no, perché il Testo unico degli enti locali non pone formali limiti. Diciamo “buonsenso”) vorrebbe si mantenesse un profilo basso, anche per non dare modo a nessuno di immaginare che la missione possa esser utilizzata per futuri trampolini. E invece Tronca è lì, saluta e ti immagini che stia per arrivare George Clooney, Monica Bellucci, o Obama, o papa Francesco, che in effetti è arrivato, in qualche modo, e si è concesso per una foto ricordo. Dopo aver lasciato il balconcino, Tronca, sempre con la fascia tricolore indosso, è andato infatti al Verano nel primo giorno del suo nuovo lavoro. Lì c’era il papa per la messa di Ognisanti e ci ha guadagnato una stretta di mano con riverenza (di Tronca, ovviamente) e frasi di incoraggiamento da rigirare alle agenzie di stampa («Il Papa mi ha detto che bisogna avere forza e energia». Ma va?). Se il sindaco fosse stato ancora Marino si sarebbe detto che si era imbucato ancora una volta. Qualche giornalone avrebbe titolato una cosa tipo: «Marino insegue il papa al cimitero per strappare una stretta di mano». Con Tronca no. Tronca è benvoluto, anche dal Vaticano, che non ha mai fatto mancare la sua voce sulle vicende di Marino, contribuendo non poco all’opera di demolizione dell’ex sindaco. Tronca ha una serie di trattamenti di favore, tra cui il cordone della borsa di palazzo Chigi che per lui – e non per Marino – si apre, trovando fondi aggiuntivi per la gestione del Giubileo (per i dettagli leggete il pezzo di Viettone, che segue). La cosa è curiosa, ma non stupisce visto che è da palazzo Chigi che sono partiti i più influenti imput alla cacciata di Marino e al conseguente arrivo di Tronca (di un Tronca qualsiasi), che all’Expo si è occupato dell’ordine pubblico, a Milano chiese a Pisapia di «cancellare le trascrizioni dei matrimoni contratti all’estero fra persone dello stesso sesso» e in precedenza si occupava dei Vigili del fuoco.


Il Pd Causi auspica «poteri speciali» per il già potente commissario Tronca. L’obiettivo è usarlo per recuperare consenso e «giocarsela»


Matteo Renzi ha voluto fortemente che Marino lasciasse il Campidoglio, e che arrivasse un prefetto. Anzi. Un dream team, come dice lui, e i giornali subito ripetono, diffondendo il mito dell’efficienza dei tecnici. Poi, che porti a un approccio più securitario, e più di destra, pazienza. Anche che si inneschi una competizione tra i due commissari che ora governano la città, pestandosi i piedi, Gabrielli con le deleghe per il Giubileo, e Tronca, per il Comune, non importa. Non importa molto neanche quello che hanno scelto gli elettori con i loro voti, sempre più spesso, sempre più a lungo. Ed è Marco Causi, che di Marino era il vicesindaco e quello che (con Stefano Esposito, il NoTav che non ha mancato una polemica e che è riuscito a far litigare Marino pure con i ciclisti) avrebbe dovuto rilanciare l’opera della giunta, a chiedere che Tronca sia anche più di un commissario, che faccia più dell’ordinaria amministrazione. «Nelle condizioni odierne il Pd rischia di non arrivare neanche al ballottaggio», dice Causi, «occorre il massimo impegno del governo per risalire la china. E questo avverrà soltanto se non verranno dati al commissario solo indirizzi per gestire l’ordinaria amministrazione. Occorre affrontare le emergenze della città usando poteri straordinari concessi dal governo. Se questo avverrà ce la potremo giocare».


 
 
 
 

Questo articolo continua sul numero 43 di Left in edicola dal 7 novembre

 

SOMMARIO ACQUISTA

 

 

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.