La grande bruttezza. è il nostro titolo e il nostro sentire. Che va oltre i fatti materiali noti da sempre, come sa ogni storico che si rispetti. Perché da sempre, la cupidigia e l’avarizia sono state la “moneta” sonante della Chiesa. Le uniche novità, oggi, sono la proporzione e la “qualità” di quella cupidigia e di quella avarizia (che diventano pedofilia, società off shore, sottrazione indebita, riciclaggio di denaro sporco, attici…) e l’emergere, nonostante l’esercito dei media pro Francesco, di una «doppiezza – di questo pontefice – nel presentare in pubblico un volto della Chiesa che ne maschera la realtà», come scrive, su questo numero, lo storico Adriano Prosperi.
Ma quello che mostra la “grande bruttezza” non è questo. Non solo. A questo siamo abituati. Quello che contestiamo è lo schema di fondo, perché è quello che non funziona e che non permetterà mai a nessuno di diventare “bello”. Lo Stato della Chiesa non è altro che il centro propulsore di un mercimonio peggiore di altri, perché baratta salvezza per sé predicando (e talvolta vendendo) quella per gli altri.
Un dare per ricevere che presuppone un alto e un basso. Un alto in cui c’è Dio, e un basso in cui c’è il povero genere umano. In mezzo loro, ipotetici “strumenti di Dio”, e il loro regno, il Vaticano, «lo Stato più piccolo e assolutista del mondo», come scrive su questo numero Raffaele Carcano dell’Uaar. Dare in basso per ricevere in alto. Questo, senza neanche troppo semplificare, è il loro schema. O almeno lo era. Un triangolo delirante in cui accade troppo spesso che il basso non si ami affatto, piuttosto si tolleri e – nel migliore dei casi – si sfami, in virtù di un alto che non si vede ma in cui si crede e da cui tutto discende.
Dare per ricevere, questo è. Dare la cotoletta per ricevere “salvezza” (solo qualche giorno fa Francesco ha raccontato l’aneddoto della mamma che priva i figli di metà cotoletta per darla a un povero, così da insegnare loro la vera carità). Avete mai amato così? E vi siete sentiti bene in quel momento? Io no.
Privarsi di qualcosa, sentire fame e imparare la vera carità. Questo è l’amore cristiano. Davvero questa è la rivoluzione? Colpevoli tutti. Tutti quelli che ogni volta, in ogni secolo e in ogni circostanza, hanno cercato e cercano incomprensibilmente di salvare qualcosa. Un’idea di bontà forse, che lì non c’è e non ci può essere, e senza grande fatica la realtà ce lo sbatte in faccia tutti i “santi” giorni che nessuno ci manda in terra.
Che idea di bontà c’è o ci può essere in chi predica il “nulla originario” o il peccato originale? è così difficile capire l’inganno? Senza il bastone di Dio saremmo solo animali cattivi, salvo poi capire che animali cattivi ci diventano loro in base a quello schema infernale che non prevede uguaglianza possibile, ma piuttosto una impossibilità genetica di essere come l’alto, quello in cielo, generando un mercimonio perenne. In nome di cosa, poi? Della carità cristiana? Basterebbe leggere un solo libro di Storia, anche su un solo secolo, per vedere quali rivoluzioni abbia innescato la carità. Nessuna. Ha prodotto uguaglianza? Mai. Nella storia della Chiesa non c’è nulla che racconti, non un singolo episodio, di un’uguaglianza possibile, non su questa terra almeno. Si tratta, al meglio, di un’uguaglianza condizionata da un’appartenenza (alla Chiesa). E al peggio, di un’uguaglianza post mortem.
Siamo ancora messi così? Dietro alle cotolette? Ancora lì a pensare che c’è qualcosa da salvare perché altrimenti saremmo tutti cattivi? Due venerdì fa, mi è capitato di passeggiare con un grande economista che mi raccontava della sua infanzia in Friuli Venezia Giulia, della sua educazione cattolica, di esperienze anche positive sul territorio, e poi della sua discesa a Roma, dei suoi studi e di un pensiero che gli è cambiato. Tutte quelle qualità che gli avevano raccontato venire da Dio, l’amore, l’altruismo, quel senso di uguaglianza, la generosità, l’onestà, erano sue. Non gliele aveva date nessuno. E il grande inganno della religione per lui era quello, mi diceva: farti credere di essere nulla, vuoto all’origine, da riempire di qualità (o di regole?). 25 anni di studi sulla Chiesa e sul cristianesimo e una grande bruttezza. Io posso solo testimoniare questo. Una grande bruttezza. Qualcosa da salvare? Niente. Proprio niente.
Questo editoriale lo trovi sul numero 44 di Left in edicola dal 14 novembre
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