Cosa dicono gli editoriali dei quotidiani francesi (e non solo) della chiamata alle armi del presidente francese

Ieri il presidente francese Hollande ha fatto qualcosa che non è sfuggita a nessuno: provare a indossare i panni di George W. Bush per vedere se grazie a quelli, proprio come il presidente Usa nel 2001, riuscirà a tornare competitivo nelle urne presidenziali. Difficili a dirsi per il titolare dell’Eliseo tra i più impopolari di sempre. Hollande ha chiesto poteri eccezionali, ha parlato di cambiare la costituzione e propone di prolungare lo stato d’emergenza per mesi. Nel Paese dei diritti. Vedremo quale sarà la reazione dei francesi, intanto sgnaliamo alcuni commenti apparsi su quotidiani importanti. Non ce n’è quasi nessuno che non parli di George W. Per un presidente di sinistra non è un bell’effetto.

 

Questo è quel che scrive David Van Reybrouck, autore di Congo, su Le Monde

Signor Presidente, la scelta straordinariamente sconsiderata della terminologia usata nel suo discorso di sabato pomeriggio mi costringe a scriverle. Tranne una frase, «il resto del tuo discorso è angosciante e ripetere quasi parola per parola a quello di George W. Bush terrà prima del Congresso degli Stati Uniti poco dopo gli attacchi dell’11 settembre (…) Le conseguenze di quel discorso le conosciamo».

Lei signor presidente è caduto nella trappola, e l’ha fatto ad occhi aperti. E’ caduto nella trappola, signor presidente, perché sente il fiato dei falchi come Nicolas Sarkozy e Marine Le Pen bruciare sul suo collo. Ed ha una reputazione di essere un debole. E’ caduto nella trappola. In Francia, si vota il prossimo 6 e 13 dicembre, sono solo delle regionali, ma dopo gli attacchi diventeranno senza dubbio un referendum sulla sicurezza nazionale. Lei è caduto nella trappola con entrambi i piedi, perché ha fatto parola per parola quello che i terroristi speravano: dichiarare guerra. Ha accettato il loro invito alla jihad con entusiasmo. Ma questa risposta, che voleva essere ferma, non fa che correre il rischio di una mostruosa accelerazione della spirale di violenza.

Esistono altre forme di fermezza diverse dal linguaggio guerresco. Subito dopo gli attacchi in Norvegia, il primo ministro Jens Stoltenberg ha chiesto «più democrazia, più apertura, più partecipazione». Lei ha fatto riferimento alla libertà. Era necessario citare gli altri due valori della Repubblica francese: l’uguaglianza e la fratellanza. Ne abbiamo più bisogno in questo momento che di una dubbia retorica di guerra.

 

 

Questo invece è Laurent Joffrin, condirettore di Liberation in un editoriale dal titolo: La libertà non è una debolezza

La guerra in Siria, è vero, è una sospensione della vita normale e richiede misure eccezionali e immensi sacrifici (…)

Ma sul suolo europeo è in corso un conflitto di ombre, incerto (…). Un conflitto in cui il ritorno alla vita di tutti i giorni, il rispetto delle garanzie della legge, il rifiuto di mostrare la propria paura, pure legittima, sono aspetti decisivi del tessuto morale di una società. A chi dice che il ritorno ai principi indebolirebbe la nostra risposta diciamo che è vero il contrario (…)Contro le grandi tirannie del Novecento, hanno vinto e le dittature in genere hanno perso. La libertà non è una debolezza. E’ questa che sostiene il coraggio dei popoli.

Per queste ragioni dobbiamo esaminare con grande attenzione le misure presentate da Hollande. Sappiamo dove ci ha portato la strategia di George Bush … Altri paesi europei, in circostanze analoghe, non hanno dichiarato lo stato di emergenza. In Francia è giustificato? Sono le misure eccezionali promesse in linea con i nostri principi? Per combattere servono ideali. Ammaccarli è rendersi più deboli in partenza.

Questo un breve passaggio che analizza una delle proposte di cambiamento delle leggi di Hollande dal punto vista tecnico, giudicandole inefficaci (da Le Monde)

Nel caso in cui il governo riuscisse a bandire dal territorio francese le persone di doppia nazionalità collegate a reti giudicate pericolose non è detto che la cosa funzioni, solleva sempre la questione dell’efficacia di tali misure per prevenire attacchi terroristici.

Nel mese di novembre 2014, un quarto degli jihadisti francesi convertiti e partiti per la Siria vengono da famiglie che non sono di recente immigrazione (…) L’efficacia della privazione della cittadinanza è subordinata a diverse condizioni che limitano il suo campo di azione e rendono la sua efficacia incerta.

Chiudiamo con le parole dell’editoriale di The Guardian scritto da Bjørn Ihler, scrittore e filmaker norvegese sopravvissuto alla strage di Utøya 

 

Come possiamo fermare questa violenza? Il mondo sembra scoppiare a causa di ideologie contrapposte, alimentate dalla paura e dall’odio generate da alienazione, disumanizzazione e distruzione. La cosa migliore che possiamo fare è uscire, riconoscere l’un l’altro e la nostra umanità, trattare l’un l’altro con rispetto e decenza. La nostra risposta all’odio deve essere la pace. Nella mia lotta personale come sopravvissuto all’estremismo violento, rimanere fedele ai miei principi è stata una forza.

I parigini hanno dimostrato di saper reagire. Hanno aperto le loro case venerdì scorso, si aiutavano l’un l’altro, si accettavano l’un l’altro. Nella notte più buia, le persone si sono riunite e insieme hanno creato punti luminosi, mostrando Parigi come Città della Luce anche nelle ore più buie. La Francia, l’Europa e il mondo dovrebbero seguire l’esempio dei parigini.