Ieri la Camera dei rappresentanti Usa a maggioranza repubblicana ha approvato una legge che restringe di molto la possibilità di accesso dei rifugiati siriani negli Stati Uniti. Diversi democratici degli Stati tendenzialmente più di destra, hanno votato a favore.
Tra le cose previste per poter essere ammessi nel Paese c’è la richiesta della firma del capo dell’Fbi, del Segretario per la Homeland Security (il ministro degli Interni) e del capo della Agenzia nazionale per la sicurezza su un permesso che dice che dopo accurato screening si certifica che il rifugiato non è un rischio per la sicurezza nazionale. Dal canto suo Donald Trump pensa che sarebbe utile schedare i musulmani o dare loro dei documenti speciali, un passo in più e in peggio rispetto alla stretta che diede Bush dopo l’11 settembre.
L’applicazione della legge renderebbe l’idea di Obama di accogliere 100mila persone nel prossimo anno impossibile da realizzare. Ora la legge passerà al Senato e, poi, arriverà sul tavolo del presidente per la firma. Questi ha promesso il veto e sta impegnando la Casa Bianca in uno sforzo di comunicazione che numeri alla mano spiega come il processo di arrivo gestito dall’Unhcr è molto sicuro e come nessun siriano accolto negli ultimi anni si sia mai macchiato di crimini legati al terrorismo (infografica qui sotto: 2304 ammessi quest’anno, nessuno ha avuto guai giuridici). La promessa di veto da parte di Obama, che i repubblicani non possono impedire (servirebbero 2/3 dei voti in Congresso) ci dice tra le altre cose come l’approvazione della legge sia puramente simbolica, un modo di mostrare agli americani chi è più falco e duro.
Ma su questo tema, a giudicare dai sondaggi, Obama sembra essere in minoranza nel Paese. Gli attentati di Parigi hanno cambiato il clima: dopo l’ondata emotiva che ha colpito il mondo occidentale sul naso con le foto del piccolo Aylan Kurdi arrivato morto su una spiaggia di Lesbos, oggi la compassione va a farsi friggere: addio refugees welcome, benvenute frontiere sigillate. Sono passati due mesi, non due anni e oggi tutti sono solidali con Parigi e non più con i milioni di siriani in fuga dalle bombe di Daesh, Assad, dei russi, dei francesi e degli americani stessi.
Siamo preda dell’emotività e della musica suonata dai grandi media (italiani, qui un bell’articolo di Lorenzo Declich sul tema), che tendono a spiegare poco e a suonare la grancassa. Che sia una grancassa di guerra o di paura poco conta: un giorno si vende il bambino siriano morto, quello successivo si semina terrore con la foto del passaporto siriano trovato accanto al terrorista. C’è la crisi del settore e così qualcosina in più si vende.
Del resto (Left ne aveva già parlato) negli anni ’30 gli americani non volevano far entrare gli ebrei portatori di pericoli, ideologie pericolose, strani, sporchi e così via. I tweet lanciati da un account gestito da un professore di storia americano sono stati ripresi da decine di media. Quello qui sotto rappresenta un sondaggio del 1939: Cosa votereste se foste in Congresso e vi si proponesse una legge che chiede di aumentare la quota di rifugiati dall’Europa? Un sondaggio Gallup del 1939 che chiedeva: Accettereste bambini rifugiati dalla Germania? Otteneva un 67% di NO. L’opinione americana cambia negli anni del Vietnam e dell’Ungheria, quando un po’ più di persone sono favorevoli all’idea di accettare rifugiati.
US Apr ’39: If in Congress, would you support a bill to open US to larger number of European refugees? By Religion. pic.twitter.com/pWsqyRXZoW
— Historical Opinion (@HistOpinion) 17 Novembre 2015
I soliti americani egoisti e isolazionisti? No, quella del rifugiato è una sindrome diffusa: il titolo qui sotto è del New York Times e racconta del raddoppio delle guardie alla frontiera tra Olanda e Germania con gli ebrei che fuggivano e gli olandesi che gli chiudevano la porta in faccia. La stessa Olanda che oggi propone una mini-Schengen centro-europea: frontiere chiuse e più controlli in una mini fortezza europea dei Paesi dove i rifugiati vogliono andare. Fuori l’Italia, la Spagna, la Grecia e tutti quelli che confinano con il mare e la Turchia.
La differenza cruciale è che all’epoca le notizie circolavano meno e la vita, in Europa e negli Usa, era più dura, faticosa e violenta di oggi. Noi sappiamo, ci spaventiamo, piangiamo, condividiamo foto e commentiamo. E oscilliamo come pendoli da uno stato d’animo all’altro. Cadendo nei tranelli di chi utilizza le crisi internazionali e il terrorismo per fare bassa cucina politica. La verità è che ottenere un permesso di soggiorno da rifugiato è difficile e che lo screening , ce lo hanno ribadito Human Rights Watch e Amnesty International nei giorni scorsi e ce lo racconta lo storify qui sotto. Sono i tweet di una rifugiata bosniaca che racconta come e cosa succede quando si prova a ottenere il permesso negli Stati Uniti. Interviste incrociate tra familiari separati, documentazione, indagine e poi attesa di mesi. La sicurezza non c’entra e le paure sono irrazionali: se è vero che qualcuno entra mascherandosi da rifugiato, questi potrà farlo in un altro modo. Non solo, la maggior parte degli attentatori di Parigi non aveva bisogno di entrare e uscire, era nato e cresciuto in Europa e in alcuni casi non era nemmeno partito per la Siria. Più controlli sui foreign fighters? Facciamone. Sistemi incrociati europei di scambio delle informazioni? Benone. Ma smettiamola di farci raccontare che sono i rifugiati siriani a essere il pericolo. E ricordiamoci che l’Europa e gli Stati Uniti, che tendono a immaginarsi come civiltà superiori, se davvero hanno inventato qualche cosa di buono sono i diritti umani. Gli stessi che l’ISIS e Assad calpestano. Gli stessi che Hollande, i repubblicani Usa e altri governi vogliono buttare via in cambio di più sicurezza. La stessa che ha fallito miseramente negli anni del dopo Bush. [social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/minomazz” target=”on” ][/social_link] @minomazz