Dopo le denunce delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, la testimonianza di un detenuto, che descrive trattamenti di una brutalità inaudita. E che sono un aiuto all'ISIS nel reclutamento dei carcerati

Al primo sguardo sembrano disegni di un bambino. Avete presente quelli che fanno immaginando storie di battaglie fra guardie e ladri, con tanto di divise e armi? Avventura, immaginazione e fantasia. E invece no: questi sono verissimi. E in maniera agghiacciante: sono gli schizzi, dettagliatissimi, di un detenuto egiziano e delle torture che la polizia penitenziaria compie abitualmente nei loro confronti.

Il carcere è quello di Al-Fayoum, centro di detenzione fra i più grandi del Paese (situato nel deserto egiziano, a un centinaio di chilometri da Il Cairo) e non nuovo alle organizzazioni umanitarie: già nel 2011 Amnesty International lo aveva denunciato per ipotesi di torture e violazioni di diritti umani.

L’elenco stilato da questi terrificanti murales su carta, accompagnano una lettera che traccia una vera e propria lista dei metodi di tortura utilizzati all’interno del penitenziario. Trapelato sul sito di informazione Rassd, il documento è stato significativamente ribattezzato “lettere dall’inferno”.

Eccole:

  1. “La posizione del cancro”
    L’elettricità è collegata al dente del giudizio del detenuto, mentre questo viene spruzzato con acqua e picchiato ripetutamente e duramente con strumenti taglienti
  2. “La posizione della carcassa”
    Il detenuto è legato testa in giù e picchiato
  3. “La posizione della borsetta”
    Il detenuto viene spogliato nudo. Gli viene ordinato di piegarsi e, legato mani e piedi insieme con una catena, viene gettato in mezzo alla strada, prima di essere inviato nella “stanza dell’inferno” (quella delle torture, appunto)
  4. “La posizione dell’ossatura/della cornice
    Mani e piedi del detenuto sono legati tra loro e verso l’alto. Un pezzo di legno viene spinto contro la parte posteriore della testa, costringendo il mento a ripiegarsi sul petto e causando forti dolori
  5. “La posizione del materasso”
    Il detenuto è steso su un materasso bagnato con due sedie situate agli opposti: una per bloccare le gambe, l’altra le mani, in maniera da causare forti dolori al corpo
  6. “La posizione di scarafaggio”
    Il detenuto è legato a testa in giù per un piede mentre viene colpito con le scarpe, calci e sputi
  7. “Tortura sessuale”
    Il detenuto è spogliato, completamente nudo. All’uomo viene ordinato di piegarsi davanti a una sbarra di ferro cablata con l’elettricità, che viene inserito nel retto
  8. “La posizione del cane”
    Un collare di ferro è apposto al collo del detenuto, al quale viene ordinato di abbaiare come un cane per un giorno intero
  9. “La posizione del verme”
    Al detenuto viene ordinato di strisciare come un verme
  10. “La posizione dello scorticato”
    Il detenuto è legato al soffitto mentre gli ufficiali gli bruciano la pelle, per poi rimuovere le parti ustionate. E poi riprendere.
  11. “Le dita spezzate”
    Le dita del detenuto sono tirate all’indietro con forza, fino a quando non si rompono
  12. “La posizione dell’accovacciato”
    L’elettricità è collegata alle orecchie e al pene del detenuto, che deve mettersi in posizione accovacciata. Gli vene, così, versata addosso dell’acqua a secchiate che lo fulmina

 

Tornano ora, con agghiacciante linearità, le immagini girate di nascosto l’8 febbraio del 2011 all’obitorio di Zenhoum da due fratelli (Malek Tamerdi e Mohamed Ibrahim Eldesouy) di due ex carcerati, deceduti ad Al-Fayoum in circostanze “ignote”, nonostante i cadaveri mostrassero evidenti segni di torture laceranti. Unghie strappate, dita di mani e piedi mancanti, versamenti cerebrali, ustioni. Decine di uomini, uccisi al seguito di quanto sopra illustrato, e per i quali non è mai partita, sebbene richiesta a gran voce dai parenti delle vittime e dall’organizzazione umanitaria, un’indagine delle autorità egiziane. Notizie su eventuali autopsie o altri esami medico-legali effettuati sui corpi dei due prigionieri non sono mai state fornite dalle autorità. I certificati di morte parlavano rispettivamente di “soffocamento” e di “cause da accertare”.
Nonostante i parenti – assistiti dal Centro egiziano per lo sviluppo e i diritti umani – avessero consegnato le immagini all’Ufficio del pubblico ministero del Cairo. Non hanno ricevuto alcuna risposta.

Inutile dire che la brutalità con la quale il regime di al Sisi combatte i suoi avversari politici, Fratellanza musulmana in primis, sta consegnando nelle mani dei reclutatori dell’islam più estremo decine di carcerati.

 

 

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.