Il ricatto sessuale non è nuovo. Nella memoria delle braccianti pugliesi e siciliane, per esempio, il racconto degli stupri e dei palpeggiamenti da parte dei caporali e dei capisquadra è sempre stato frequente. Quello che cambia è la nazionalità delle donne ricattate. Sono per lo più rumene o centrafricane. In alcuni casi, come ci hanno raccontato alcune braccianti rumene della provincia di Taranto, le più giovani sono selezionate nude in una specie di turpe sfilata sotto i teloni di imprese non sempre piccole e spesso beneficiarie di lauti finanziamenti pubblici. Questa condizione rivela quanto sia maschilizzato il sistema dello sfruttamento. Le caporali, infatti, sono poche e certamente non assurgono ai vertici del sistema.
La manodopera femminile è un doppio serbatoio di gratificazione per i caporali: pecuniaria e sessuale. Nei ghetti dei braccianti il confine tra lavoro bracciantile e prostituzione è davvero labile. Questo fenomeno è osservabile nel ghetto di Rignano Garganico o in altri più piccoli ghetti della Capitanata. Qui le donne – nigeriane, altre centrafricane e rumene – sono prostituite nei bordelli e condotte nei campi come braccianti. Siamo in un regime di doppia riduzione a merce delle braccia e del sesso di queste immigrate. Le ragazze vengono vendute per i braccianti, ma sono gratuitamente a disposizione dei caporali e dei proprietari dei terreni sui quali lavorano e sono innalzati i ghetti. Ci è capitato di osservare questa situazione soprattutto nel foggiano, dove la già elevata domanda invernale di sesso a pagamento aumenta nella stagione estiva grazie all’arrivo di migliaia di maschi per la raccolta del pomodoro. È un circolo vizioso, un girone infernale che stritola le ragazze in una morsa di stress, affaticamento e malattia.
Le braccianti italiane, quantunque meno soggette al sistema del ricatto sessuale, pagano, soprattutto se madri, l’inesistenza di sistemi di welfare adeguati al mercato del lavoro. È molto raro che un Comune apra un asilo o un nido notturno per i figli delle braccianti, e questo costituisce un impedimento alla continuità lavorativa che si ripercuote sulle garanzie contributive e retributive. D’altra parte, se alle braccianti viene sempre assegnato un numero di giornate agricole dichiarate all’Inps inferiore a quello delle giornate realmente lavorate, ci sarà una spiegazione. E queste giornate, poi, sono molte meno di quelle registrate per gli uomini. Sono certamente la più forte fragilità sociale, la tendenziale esclusione dal mercato del lavoro e una diffusa sottocultura che rendono le braccianti meno tutelate degli omologhi maschili, e meno visibili nel racconto mediatico sul lavoro agricolo.
In un sistema globale – gestito dalle grandi imprese della trasformazione agroindustriale e dalle grandi reti commerciali – per chi fissa il prezzo del prodotto agricolo a prescindere dal costo del lavoro, la manodopera femminile è una risorsa preziosa. Un prodotto può costare tanto ma contenere un dosaggio robusto di sfruttamento e di lavoro femminile (e maschile) nero e sottopagato. In Puglia nel 2014 sono aumentate le donne straniere registrate come braccianti, mentre è diminuito il numero delle tutele ad esse destinate. Il dato rivela una contraddizione interna al mercato del lavoro, mai sanata dalle normative e dalle ispezioni. Il prezzo del prodotto, incidendo sul tendenziale azzeramento del costo del lavoro come mai accaduto in precedenza nella storia contemporanea, gioca come una scommessa epocale contro i salari e contro la salute delle braccianti. Questo spiega, secondo noi, perché la scorsa estate ci sono stati sei morti nelle campagne pugliesi, tra i quali due donne.
Per porre rimedio a questa condizione disumana è necessario centralizzare nel sistema pubblico il collocamento delle/dei braccianti, sottrarlo alle agenzie informali – i caporali – ed a quelle interinali – non di rado in combutta con i caporali – di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Come è necessario che il trasporto e gli altri servizi siano garantiti dalle imprese e dalle istituzioni locali. Infine, gli stessi dispositivi contrattuali devono essere modificati al rialzo dei diritti: il ricorso al voucher, diffuso soprattutto al Nord, è un espediente adoperato dal sistema d’impresa più intelligente ed evoluto per ridurre salari e tutele e per evadere contributi. Perché questo accada, le grandi imprese dovranno ridurre i margini della rendita e del profitto accumulati sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli. ( Leonardo Palmisano e Yvan Sagnet sono autori del libro inchiesta Ghetto Italia, edito da Fandango)
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