“Condividere e mettere a disposizione”. Con questa idea e intento Roberto Lombardi ha deciso di affidare alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia un nucleo di opere di Luigi Ghirri di sua proprietà . Sono opere perlopiù appartenenti a Il profilo delle nuvole, forografie realizzate fa 1985 e il 1990, in tutto una trentina, scattate nella pianura padana, in Emilia, in Veneto e in Lombardia. Il materiale sarà inventariato, catalogato e farà da spunto a una serie di attività di ricerca che saranno curate da Chiara Bertola, accompagnate da una nuova collana editoriale.
Nell’89 e nel ’96 ci sono già state già due importanti mostre di Luigi Ghirri alla Fondazione Querini Stampalia, ma ora si può per la prima volta vedere qui una serie di opere del forografo emiliano appartenenti a una collezione privata e, grazie al neonato Fondo Ghirri, finalmente è disposizione del pubblico e degli studiosi.
“Il patrimonio artistico è qualcosa di vivente, non è solo un’eredità da tutelare – dice la curatrice Chiara Bertola -. Per questo abbiamo pensato in occasione di questa prima iniziativa di far dialogare opere di Luigi Ghirri con quella realizzata da Yona Friedman e da Jean-Baptiste Decavèle”. Ovvero il Vigne museum, un libero museo del paesaggio.
“Gli scatti di questo maestro della fotografia – continua Bertola – offrono sguardi imprevisti sul paesaggio , ne colgono l’aura attraverso l’obiettivo e in qualche modo hanno assonanze con quello speciale modo di costruire di Friedman facendo archtettura con l’aria, con la gente, con molto poco”. La mostra, aperta dal 20 novembre al 21 febbraio 2016 è, come accennavamo, il primo atto di un programma di ricerca legato al Fondo Ghirri. In queste foto in particolare sviluppò il progetto con Gianni Celati, che accompagnò con un testo lo sguardo di narratore dell’amico fotografo.
E da un incontro ideale tra Ghirri e il duo Friedman/Decavèle nasce questa iniziativa veneziana “cresciuta su un terreno comune a molte ricerche artistiche del secondo dopoguerra – approfondisce la curatrice – , l’esigenza di scardinare una percezione strutturata di opere e luoghi attraverso la cornice, la teca, il piedistallo e l’architettura e sovvertire la distinzione tra l’oggetto e il suo contenitore, l’edificio e l’ambiente”. L’aspetto romantico delle foto di Ghirri, la sua attenzione per l’architettura, la sua capacità di cogliere e cristallizzare degli scorci che ormai non ci sono più, il suo modo di costruire un sistema di scatole cinesi, di strutturare la visione attraverso una serie di quinte sono il baricentro della mostra ma anche il filo rosso che unisce Il profilo delle nuvole al visionario progetto museale di Friedman e Decavèle.
Davanti agli occhi scorrono immagini come inquadrature che cercano un punto di equilibro e un modo per far incontrare visione ad occhi aperti e memorie più profonde. Come ben racconta Germano Celant nel volume Fotografia maledetta e non (Feltrinelli, 2015), Ghirri non ha alcun interesse a riprodurre la realtà così com’è, cerca un momento di distacco e di sospensione; il paesaggio appare così come riflesso in uno specchio, tra reale e irreale come se la fotografia che abbiamo davanti fosse un frame cinematografico”. Ghirri ricerca il vero attraverso una semplice inquadratura. E per quanto ciò che vediamo sia in piena luce e senza deformazioni oniriche ci appare come una visione che appare e che potrebbe scomparire l’istante dopo, oppure restate così in quell’incanto per sempre. C’è qualcosa della pittura metafisica qualcosa della pittura di Giorgio Morandi e della visionarietà scientifica di Italo Calvino nelle opere di Ghirri. Così come vi potremmo scorgere assonanze con la scultura, i quadri e le installazioni del più classico degli artisti italiani contemporanei, Giulio Paolini. @simonamaggiorel
 L’immagine pubblicata in evidenza è di Luigi Ghirri, Paesaggi d’aria
Fontanellato, (1985)Fondo Ghirri, Fondazione Querini Stampalia