Qui «c’è uno scrittore rinchiuso nel regno minerale della pena», scrive Erri De Luca, presentando il racconto La neve che non ti aspetti di Salvatore Ventura, uno dei 25 racconti finalisti della quinta edizione di Racconti dal carcere, ora raccolti in un volume Eri Rai. Facendo capire subito al lettore di questa raccolta intitolata All’inferno fa freddo che Ventura non è un detenuto che scrive come hobby , per attività ricreativa, ma che siamo davanti ad una persona che scrive per un’esigenza profonda di espressione in forma narrativa.
«La vita di chi scrive conta per me perciò mi dispongo a leggere racconti di imprigionati con maggiore attenzione», dice a Left Erri De Luca, scrittore, traduttore e poeta, che ha appena pubblicato con Feltrinelli il pamphlet La parola contraria e l’intenso libro autobiografico Il più e il meno. «Se ignoro tutto di un autore – approfondisce – dev’essere la sua scrittura e la storia a convincermi a seguirlo. Ogni lettura letteraria prevede una sospensione dell’incredulità da parte del lettore, che potrà poi revocare questa concessione. Con Salvatore Ventura so di leggere uno scrittore che usa carta, penna e un oceano di tempo. Molti scrittori sono stati in prigione, molti prigionieri sono diventati scrittori. Salvatore Ventura è di quelli che sanno quanto vasto resta il mondo dentro i centimetri contati, quando hai le parole per dirlo».
Come ha vissuto questa esperienza umanamente e da scrittore?
Quando leggo sono un lettore , non il collega dello scrittore. Sono interamente lettore, e scorbutico, senza indulgenze. La lettura è il tempo salvato dentro una giornata e non me lo faccio strapazzare da una pagina scadente. In questa e altre edizioni ho avuto fortuna di leggere storie valorose. Nelle pagine scritte in detenzione prevale l’esperienza subìta e poi affrontata con l’altra parte di se stesso che si mette a scrivere. Da questo doppio vengono fuori pagine che appartengono alla letteratura e non alla biografia. Non faccio allo scrittore in prigione il torto di leggerlo per solidarietà. Lo leggo perché la sua pagina vale la mia difficile attenzione.
Nella prefazione al racconto coglie il momento di stupore che precede la scrittura, che arriva nonostante la reclusione. Mi ha fatto ricordare il passo de Il più e il meno in cui lei evoca la «colata lavica rappresa» e dell’«arsura tirrenica dei versi terminali di Leopardi», che a causa della malattia era “prigioniero” a Napoli. Riuscire a scrivere nonostante. Scrivere per non farsi bloccare il pensiero, come faceva Gramsci nei Quaderni dal carcere. L’oppressione peggiore è quella che fa breccia dentro si sé? La scrittura è allora uno strumento di lotta?
La scrittura in esilio, in prigione, in un assedio ha il valore aggiunto di sospendere il tempo della pena. In Sarajevo spenta e circondata si facevano serata di poesia, con i poeti le candele. Le persone avevano bisogno fisico di parole capaci di stare a contrappeso. Così può fare la scrittura, interrompere l’assedio, cancellare le sbarre dietro una pagina aperta davanti al naso. Un libro non è uno strumento per raggiungere un fine, è il fine. Scrive Herta Müller che la fortuna del quadrifoglio comincia e finisce con il fatto di averlo trovato, altro non c’è. Il libro è il quadrifoglio.
Il carcere dovrebbe prevedere un percorso di reinserimento, più spesso in Italia è solo una punizione che non produce cambiamento, se non in senso peggiorativo. Che senso ha? Cosa pensa della proposta che Luigi Manconi ha formalizzato nel libro di Chiarelettere Aboliamo il carcere?
Esistono già oggi prigioni abbandonate. La prigione è un impianto scaduto, una miniera che non ha più minerale. Oggi è un deposito di vite scartate, senza alcun potere deterrente né un valore di uso del tempo della pena. Dovrebbe essere pieno di lavoro socialmente utile, dovrebbe essere tempo di praticare un mestiere e retribuito. Al contrario continuiamo a impiegare lo strumento dell’ergastolo ostativo, che esclude per arbitrio un termine. Continuiamo a negare libri ai detenuti del regime speciale. Continuiamo a fare i carcerieri di fantasmi.
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